Politica 

Cronaca semiseria dalla Sala Rossa, tra assenze strategiche e tramezzini sbocconcellati al banco

aula consiglio comunale

di Monica Di Carlo

Stavolta, a conti fatti, se avessero voluto davvero, avrebbero potuto. Mandare a casa Doria, dico, come ripetono di voler fare in ogni dichiarazione di voto, in ogni tweet, in ogni messaggio Facebook. E invece no. E invece in consiglio comunale s’è consumato il solito teatrino. Personaggi e interpreti: cinque-consiglieri-di-opposizione-cinque che nel giorno dell’Ok Corral presentano “la giustifica” (due dei quali si volatilizzano al momento di pigiare il tastino della votazione) come se fosse una qualsiasi seduta di commissione sulla Smart City (uno dei temi meno gettonati dal consiglio); un consigliere del gruppo misto, già assessore della giunta Vincenzi e ora in odor di delega (una sorta di sottosegretariato della giunta) che fino a ieri sputava giudizi al vetriolo sul “marchesino”; un decano della politica, già vice presidente Psi della Provincia, già presidente della Fiera, un tantinello prolisso nei propri interventi (tanto da generare il fuggi fuggi generale in sala rossa e nella tribuna stampa quando è il suo turno di illustrare mozioni e ordini del giorno, ma al quale bisogna riconoscere di essere uno dei pochi che i documenti li legge veramente e ci lavora su perché, avendo 78 anni suonati, viene da un periodo in cui – curioso, non trovate? – usava così) che sta seduto nei banchi del Pdl, ma da qualche tempo prende decisioni spesso distanti da quelle del suo gruppo e oggi ha fatto balenare la lucina verde nello schermo delle votazioni proprio dove si addensavano quelle rosse. Certo, il Sindaco e la giunta avevano ammesso 62 dei 65 ordini del giorno con cui ieri ha consumato la prima riunione sul Bilancio preventivo, ma gli ordini del giorno, quelli che recitano “si impegnano il sindaco e la giunta a…” non sono una cosa sostanziale, non sono emendamenti. Sono impegni che spesso cadono lettera morta, dimenticati appena si spengono le luci della sala rossa.

Diamo nomi e cognomi al “cartellone” di questa rappresentazione. Il Pdl che ha votato per Doria è Guido Grillo, veterano della politica, che probabilmente ha segnato così la propria cesura col gruppo. Infondo, la capogruppo Lilli Lauro aveva fatto fuoco e fiamme, un paio di settimane fa, perché Enrico Musso non era stato presente al momento della votazione del piano delle opere pubbliche. Che farà adesso che uno dei “suoi” ha votato a favore del bilancio?

Ecco il video della votazione, con i giornalisti sul loggione pronti a segnare i nomi di chi è a favore e di chi è contro. Sin dal mattino avevano fatto il “toto voto” ipotizzando schieramenti variegati nella fluida geografia dell’assemblea. L’ipotesi più rosea a favore di Doria dava 18 sì e al comparire del diciannovesimo tutti hanno cominciato a scandagliare il tabellone fino a scorgere quel pallino verde impertinente, ostinato e contrario in corrispondenza di Grillo, il loggione s’attendeva un’astensione in omaggio al largo accoglimento degli ordini del giorno e anche solo per spregio nei confronti dei compagni di partito, coi quali, almeno in aula, da tempo non corre buon sangue. Qualcuno si è accorto  del “tuffo carpiato con avvitamento politico” di Grillo e sul loggione è partita una raffica di “Non ci posso credere”.


Facendo i conti, se alla minoranza si fossero aggiunti i 5 assenti e il voto di Grillo, gli “anti Doria” sarebbero arrivati a 21 e i “pro Sindaco” a 18. In quel caso non sarebbe bastata l’astensione dei due consiglieri di Percorso Comune per salvare la giunta.

Il futuro consigliere delegato alla qualsivoglia cosa, a piacere, è Stefano Anzalone, già Idv, che già in passato aveva fatto da stampella alla giunta non avendo però ottenuto alcun incarico e tornato bel bello a fare strenua opposizione per poi venire nuovamente folgorato, oggi, sulla via di Damasco dal piano di bilancio di Doria.
Poi ci sono gli assenti che, come è noto a tutti, hanno sempre torto. Questa volta un po’ di più, perché mancare ad un voto così importante e così in bilico, in politica equivale a votare a favore. Si tratta di Mauro Muscarà (M5S), Pietro Salemi (Lista Musso) e Mario Baroni (gruppo misto) a cui si sono aggiunti (ma solo nel pomeriggio di oggi, avendo partecipato, questa mattina, al consiglio) Salvatore Mazzei (Gruppo misto) e Paolo Repetto (Udc). Insomma, consiglieri spalmati un po’ in tutto il centro destra che, insieme al “traditore manifesto” del Pdl, hanno favorito l’approvazione. I maligni dicono che nessuno vuole andare a casa, soprattutto quelli che non potrebbero, per i più svariati motivi (probabile mancata ricandidatura, smarrito riferimento a un partito politico di consistenza sufficiente a conquistare un seggio nel prossimo consiglio). I meno maligni si limitano a pensare che nessuno vuole per la città un commissariamento lungo un anno e che quindi anche i partiti di opposizione, pur ribadendo le loro critiche e la loro contrarietà, abbiano fatto sparire qui e là un consigliere, in modo da consentire a una maggioranza che zoppica e arranca di farcela con le proprie forze più l’aiutino degli ex Pd Salvatore Caratozzolo e Gianni Vassallo oggi sotto le insegne di Percorso Comune. Poi, a sorpresa, è arrivato l’outsider Grillo.

Questo è solo l’epilogo di una due-giorni di politica-cabaret cominciata con una serie di sì agli emendamenti e agli ordini del giorno, non solo di Grillo, da parte di Sindaco e giunta. Il risultato è stato lo spostamento di un po’ di fondi principalmente verso lo sport e qualche consigliere meglio disposto nei confronti del primo cittadino. Granitica Fds, con Antonio Bruno e Gian Piero Pastorino a garantire la presenza e il loro “no”, così come il consigliere leghista Alessio Piana che, per andare sul sicuro, si è astenuto anche su gran parte degli emendamenti della minoranza. Anche il capogruppo Udc Alfonso Gioia ha mantenuto la propria posizione critica fino al voto, ma l’assenza del suo compagno di partito Repetto ha, di fatto, aiutato la giunta. Difficile dire se, nel gioco dei ruoli di questa infinita campagna elettorale cominciata con le Regionali e mai finita, l’assenza sia stata strategica o dettata da reali esigenze del consigliere così forti da far mancare un voto all’opposizione.
Strenua opposizione anche dal M5S, monco, ieri, di Muscarà. Il ruolo del “Signor No” è toccato ad Andrea Boccaccio che ieri ha richiamato il regolamento quando, al momento dell’illustrazione di due suoi emendamenti, l’ultimo segretario genovese della Dc (quella vera) Gianni Vassallo si è assentato dall’aula e il consigliere pentastellato ha preteso che, come da regolamento, fossero considerati decaduti. Il tema di uno sarà riproposto da Vassallo sotto altra forma nelle prossime riunioni di consiglio, l’altro è, nei fatti, confluito in un emendamento di Musso che lo ha “ospitato” in disaccordo con i metodi da primo della classe (seppur in piena ragione) e pervicace spaccatore di capello in quattro al solo fine di polemica con tutto e con tutti di Boccaccio. Lui, il “Signor No” pentastellato, ha chiesto o, in altri casi, costretto a diverse sospensioni della seduta nel corso dei due giorni, con un Giorgio Guerello, presidente del consiglio, dotato di spettacolare calma olimpica pur nel faticoso compito della mediazione sulle questioni procedurali, ma impotente contro la ferma decisione del polemico pentastellato di votare gli emendamenti senza accorparli, per tirare alle lunghe e prender tempo, oggi, per attendere il capogruppo M5S Paolo Putti  (assentatosi da Tursi per qualche tempo per questioni sue) in modo che fosse lui a fare la dichiarazione di voto per il Movimento. Guerello, ben oltre il limite della sua proverbiale pazienza, al secondo tentativo è riuscito a portare il tempo per la votazione degli emendamenti da 20 a 10 secondi e l’ineffabile Bocaccio ha cominciato allora a “sbagliare” il voto per poi chiederne la revisione in zona Cesarini e perdere ancora un po’ di tempo. Lui e i compagni di partito (Emanuela Burlando e Stefano De Pietro) hanno messo a dura prova la pazienda degli scrutatori (degli altri consiglieri e dei giornalisti presenti in sala) facendo correggere un centinaio di documenti di voto, mettendo in atto un’opposizione più che contro il bilancio, contro lo stesso consiglio nella sua interezza, senza che si intravedesse un fine politico, così tanto per far dispetto. Questo ha mandato su tutte le furie il vice presidente del consiglio Stefano Balleari che a un certo punto ha apostofato in aula il consigliere grillino, spiegando poi ai giornalisti che Boccaccio era riuscito ad astenersi persino dagli emendamenti presentati solo a sua firma per poi correre (ma nemmeno troppo velocemente) ai banchi della segreteria per fare correggere la sua decisione. Altra baruffa Pdl-M5S, questa volta con Lilli Lauro, quando Putti ha cercato di far rimandare il voto di merito sull’intero bilancio invece di procedere alla brevissima (19 minuti) pausa pranzo prima della ripresa della discussione. Cribbio, almeno esser capaci di mettersi d’accordo con se stessi ed evitare di mancar di rispetto all’istituzione, che poi rappresenta i cittadini, oltre che all’intelligenza altrui! Lauro si è detta disposta a saltare il pranzo solo per rispondere con la stessa moneta alla manfrina pentastellata. Alla fine, Guerello, sempre più spazientito, ha dato il via alla “pausa tramezzino”.
Allo scattare della ricreazione, i consiglieri, con scatto da maratoneti, si sono fiondati nei bar di via Garibaldi per tornare nell’aula con foglie di insalatina tra i denti e panini smagiucchiati ancora in mano. Qualcuno si è avventato sul distributore automatico nella buvette, altri, come l’assessore Gianni Crivello, si sono accontentati di un caffè da bere nel giardino di Tursi.

gianni crivello(Crivello col caffè in mano)

 

Prima, un po’ per contrastare il calo di zuccheri, un po’ per stemperare la tensione, Gianpaolo Malatesta del gruppo misto si aggirava per la sala offrendo a tutti da un sacchettone caramelle alla soda mentre altri saccheggiavano il distributore delle bustine di taralli che sgranocchiavano nella bouvette offrendone anche agli altri provatissimi consiglieri.

gianpaolo Malatesta(Il sacchettone di caramelle di Malatesta, utili ad addolcire le asperrità del consiglio)

 

Enrico Musso ha fatto di meglio: alla ripresa del pomeriggio s’è seduto al banco con bibita e panino, che ha consumato con tutta calma scartandolo davanti ai “colleghi” mentre i grillini sputavano fiele a getto continuo su un Marco Doria sempre più livido. Sono passati – e da un pezzo – i tempi in cui l’allora radicale Andrea Tosa (ai tempi in cui sindaco era Fulvio Cerofolini) veniva buttato fuori dall’aula solo perché, pur indossando la giacca, non portava la cravatta come prescritto dal regolamento. Oggi a qualcuno in aula mancava solo il bavaglino al collo perché il cestino da picn nic c’era già, nella borsa di Musso, via via svuotato con metodica attenzione. Ma, d’altro canto, il prolungarsi innaturale della seduta ha spinto molti ad assumere comportamenti leciti solo in regime di “sopravvivenza”. Sulla testa di molti consiglieri pareva quasi di vedere il fumetto: “Quo usque tandem abutere, M5S, patientia nostra?”

lista musso(Musso con la guanciotta gonfia mastica un panino. Alla sua destra – a sinistra nella foto – la bibita poggiata sul banco dell’assente capogruppo Pietro Salemi)

 

Sono passati anche i tempi del filibustering spinto del consigliere (allora) Msi Gianni Plinio che si presentava nella sala rossa con quattrocento emendamenti da illustrare uno ad uno, un numero tale da far impallidire anche i 56 ordini del giorno di Grillo. Per scrivere gli emendamenti bisogna “perder tempo” a studiare approfonditamente il documento presentato dalla giunta, conoscere il linguaggio amministrativo, saperne di bilanci e di amministrazione. Altro che filosofeggiare sui minuti della pausa pranzo o fare i giochetti del cambio del voto per perdere tempo.  Ma tutto questo, la gran parte dei consiglieri presenti oggi in aula nemmeno sa che è stato. Era un altro mondo, un’altra Repubblica, la prima. Aveva tanti difetti, è vero, ma quantomeno lasciava fuori dalla porta dell’aula il cabaret.

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