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Arrampicata sportiva, i 48 anni del Finalese da Titomanlio al successo internazionale

Finale è una falesia dura, con gradi severi, nella quale non è ammesso scavare prese col trapano, nel quale i chiodi non sono quasi mai troppo vicini e hanno permesso a questo comprensorio di conservare la sua aura di posto amato e temuto dove quasi nulla è regalato

Rocca di corno

di Roberto Avvenente*

Qualsiasi attività, anche la più bella, risulta monca se non si considera da dove viene, quale è stata la sua storia e come si è evoluta nel tempo. Ciò ovviamente vale anche per l’arrampicata sportiva, per cui in queste poche righe cercheremo di ripercorrere una piccola fetta della storia di questo sport, quella più vicina a noi. Non dobbiamo dimenticare che gli arrampicatori genovesi sono estremamente fortunati, hanno infatti a pochi chilometri uno dei due centri più importanti per l’arrampicata sportiva in Italia: Finale Ligure.

 

Questa storia inizia nel maggio 1968, esattamente 48 anni fa, quando Roberto Titomanlio, accompagnato da Gian Franco Negro, aprì la via che ancora oggi porta il suo nome sulla magnifica ed assolata parete sud della Rocca di Corno. Poco dopo fu aperta la classicissima “Diedro Rosso” da Gian Luigi Vaccari e Titomanlio che mantiene ancora oggi la chiodatura originaria e presenta difficoltà fino al 6a. Non c’era che l’imbarazzo della scelta: la quantità di roccia era enorme e la sua qualità eccezionale. Vennero esplorate le strutture principali e si cercò di risolvere i problemi più evidenti, nel 1969 Gianni Calcagno aprì la “Via del Tetto” anch’essa ancora con l’attrezzatura originaria, fatta eccezione per l’aggiunta di un chiodo a pressione in anni più recenti sul passo chiave e con difficoltà fino al 6b.

Fu necessario aspettare il dicembre del 1972 perché venisse aperta la prima via sul Bric Pianarella, la parete che, con i suoi 250 metri a stento, è la più alta della zona, quella che tutti chiamano semplicemente “Il Paretone”, protagonisti ancora gli instancabili fratelli Gian Luigi ed Eugenio Vaccari, la loro via si chiama semplicemente “Via Vaccari” e si snoda lungo una serie di fessure e diedri tra le due grandi erosioni che caratterizzano la parete.

Esplorazioni e aperture si susseguirono ovviamente senza sosta, queste pareti furono un grande parco giochi per gli alpinisti e arrampicatori di punta genovesi dei tempi che vi si recavano per allenarsi certo, ma anche per divertirsi in un ambiente ben più solare e comodo di quello delle Alpi.

Nel maggio del 1975 fu aperta, sempre sul Paretone, un’altra via destinata a diventare e rimanere una grande classica, la “Grimonett”, per mano di Alessandro Grillo e Vittorio Simonetti; e come non ricordare la mitica via “Catarifrangente” aperta da Gianni Calcagno nel 1977 con passaggi di artificiale, ossia sfruttando i chiodi per salire lungo la parete, e salita per la prima volta in libera, vale a dire senza utilizzare chiodi e corde se non per rimanere appesi in caso di caduta, da Heinz Mariacher e Roberto Bassi nel 1983, con difficoltà fino al 6c+.

Pianarella Grimonett

Nel 1978 successe qualcosa. Fino a quel momento le vie venivano salite ancora con una mentalità che possiamo definire alpinistica: la cordata giunta alla base individuava la linea e arrivava in cima. In quell’anno fu aperta da Alessandro Grillo la via “Satori”, fu salita in artificiale come le precedenti, ma la sua linea e le sue protezioni furono studiate nell’ottica di una successiva ripetizione in libera ossia senza l’ausilio dei chiodi che sarebbero rimasti solo come protezione e non come aiuto per la cordata. Possiamo dire che “Satori” sia la prima via aperta a Finale con l’ottica da arrampicata sportiva.

Gli anni passano, il numero degli arrampicatori cresce, così come migliorano le loro capacità tecniche ed i materiali a disposizione, le difficoltà salgono e a Finale inizia ad esserci già un buon numero di vie, che cresceranno esponenzialmente dalla metà degli anni ‘80, il mondo dell’arrampicata sta cambiando sempre più rapidamente, vengono attrezzate dall’alto intere falesie e si cercano difficoltà sempre crescenti anche su pareti alte meno di venti metri. Gli anni ’80 sono anche gli anni dei pantacollant dai colori sgargianti, e imbarazzanti, ai tempi sembravano imprescindibili oggi farebbero inorridire chiunque, ma in fondo sono anch’essi un frammento di questa storia.

Nel 1986 venne salita da Andrea GalloHyaena” dopo mesi di tentativi, il grado? Oggi viene gradata 8b secondo la scala francese, ma nei primi 20 anni dalla prima salita è stata salita sole 12 volte.

Arrivano gli anni ’90 il numero di vie e di arrampicatori continua a salire, la guida pubblicata nel 1994 dichiara già in copertina: “1500 vie di arrampicata” sono state aperte vie in tutte le falesie principali e ora ci si dedica a sfruttarle meglio, iniziano i lavori di richiodatura delle vie esistenti, ma niente di nuovo sconvolge il panorama finalese, certo spuntano tanti settori, anche qualche gioiellino, ma in fondo tutto procede tranquillo e si passa al nuovo millennio con il solito andamento crescente di frequentazione, chiodature e richiodature.

Le palestre di Finale oggi hanno 48 anni, una bella età, ma sono ancora una meta ambita e temuta per un sacco di arrampicatori, ambita per la sua bellezza, le vie storiche, i movimenti e temuta per i suoi gradi notoriamente “non regalati!, per i suoi buchi taglienti e dolorosi, per le chiodature spesso non eccessivamente generose pur rimanendo in generale sicure.

Finale Ligure, arrampicatoriamente parlando, è sempre stata un’oasi autogestita nella quale le istituzioni non hanno quasi mai messo becco né quattrini, le vie sono state attrezzate da appassionati, gruppi di “locals”, “finaleros” che hanno deciso metterci di tasca propria tempo, soldi e fatica, imbracciare un trapano e realizzare questo enorme parco giochi, mille anime diverse che hanno seguito una evoluzione ma sempre nel rispetto di quello che Finale è: una falesia dura, con gradi severi, nella quale non è ammesso scavare prese col trapano, nel quale i chiodi non sono quasi mai troppo vicini e hanno permesso a questo comprensorio di conservare la sua aura di posto amato e temuto dove quasi nulla è regalato; e tornando a casa la sera dopo una giornata a massacrarti le dita sui quei dannati buchetti taglienti ti scoprirai a programmare già la prossima giornata disponibile per nuovi progetti e nuove salite.

*Istruttore Cai

©Tutti i diritti riservati. Foto di Roberto Avvenente

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