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La paghetta e il silenzio di quei politici furbetti

Riflettevo, sfogliando stamane il maggior quotidiano locale, sull’impudenza della nostra classe politica, non tutta per carità, ma senza dubbio una buona parte. Trascinato nel mio logorio max-turbatorio da un articolo, l’ennesimo, sulle spese pazze per cui sarebbero inquisiti alcuni nostri ex politici che si sono dati parecchio da fare fra gli scranni regionali e quelli di Montecitorio. Politici che, come se si trattasse di tenere fede alla beffarda legge del contrappasso dantesco, militavano tutti, nell’Idv, partito, quasi di famiglia, di quell’Antonio Di Pietro salito agli onori delle cronache prima come pubblico accusatore di personaggi politici corrotti e poi come parlamentare.

Riflettevo sulle sorti di Nicolò Scialfa, consigliere regionale e poi vicepresidente, transumato dalle fila di Rifondazione Comunista – per cui era stato eletto come indipendente in comune – all’Idv dell’uomo di Montenero di Bisaccia. Prima bancario, poi passato dallo stipendio fisso, dietro allo sportello, all’insegnamento. Per pura passione o, come sosteneva, per missione. Una misera fine per un uomo che aveva proclamato più volte che la politica per lui era unicamente spirito di servizio. Riflettevo su Marylin Fusco, segretaria prima, astro nascente e folgore, poi consorte, sempre alla corte di quel Giovanni Paladini che ha chiuso la carriera come deputato, con qualche guaio, ancora da dirimere, con la giustizia. Un personaggio, il Paladini, che prima di scendere in campo faceva il poliziotto e si era conquistato la fiducia dei colleghi fino ad arrivare ai vertici nazionali del sindacato autonomo. Pensavo ancora alla Piredda, con quel nome slavo, Maruska, come fosse una bambolina, una matrioska, hostess dell’Alitalia, prima precaria e poi sindacalista che deve tutta la sua notorietà, e fortuna, ad un’ esultanza, a braccia levate, per l’interruzione della trattativa per il contratto di lavoro del personale della compagnia di bandiera. Ricordavo infine il Paladini, marito della Marylin e potente padre padrone del partito in Liguria che aveva messo un suo uomo, Giorgio De Lucchi, a tenere i conti delle entrate, pubbliche, e delle uscite, personali con cui venivano foraggiati i suoi uomini e le sue donne.
Personaggi di un partito che a Genova e’ andato quasi completamente estinto per guai giudiziari. Sono affogati nel disonore di aver addebitato a quei liguri, che avrebbero dovuto rappresentare come personaggi istituzionali, libri di filosofia, qualche bottiglia di vino pregiato, cibo per cani, pizzate con gli amici e qualche paio di mutandine e qualche capo di lingerie provocante. Giovedì i nostri ex rappresentanti avrebbero dovuto comparire in aula insieme al povero De Lucchi, il cassiere, accusato di appropriazione indebita, per cercare di discolparsi, o almeno di spiegare. Ma non hanno avuto il coraggio di farlo, lasciando all’unico superstite l’onore e l’onere di illuminarci ancora un po’ sui trascorsi della nostra classe politica. La parola chiave e’ stata la paghetta, come se il corpulento Scialfa, l’ammiccante Marylin, la sfuggente Maruska, fossero ancora ragazzini che dipendono dal borsellino della nonna. Ma ad andarci a fondo si scopre che quella paghetta altro non era che una gonfiatina a stipendi, con tanto di tredicesima e quattordicesima, che non erano già niente male. Una iniezione da 1500-2000 euro al mese per i poveri assessori e consiglieri regionali. Retribuzione a cui andavano regolarmente aggiunti quei benefit a nostre spese di cui ho parlato poco sopra. Ma c’è di più, perché De Lucchi ha testimoniato di fronte ai giudici che nonostante la situazione critica del gruppo a livello finanziario, tanto che ai dipendenti non veniva pagato lo stipendio, assessori e consiglieri, invece di ridurre le loro pretese avrebbero litigato a più riprese, pretendendo tutti che la loro paghetta fosse adeguata a quella del capogruppo. Doppia rispetto alla loro. Una vera schifezza.
Ebbene, avrei preteso che il dottor Scialfa, che oggi, continuando la sua missione, fa il preside in un istituto superiore genovese, avesse dimostrato quel coraggio che l’incarico stesso avrebbe dovuto trasmettergli e si fosse presentato in aula. Magari attribuendosi tutte le colpe, cospargendosi il capo di cenere. Magari per dire, una volta di più, che quello era il sistema e che porsi al di fuori e non esserne complice equivaleva ad essere trattato prima come un fesso e poi con sospetto. Mi chiedo, per esempio che cosa potrà rispondere ad un alunno un tantino impertinente che dopo essere stato redarguito gli ricorderà i suoi trascorsi?
E credo che quella della paghetta, seppur minimizzata dal termine stesso, sia l’immagine più deteriore della nostra politica. Malfattori incontentabili che succhiano tutto quello che possono, incapaci di stilare una graduatoria di principi etici anche nella loro smania truffaldina. E se poi è un professore di filosofia a disconoscere qualsiasi validità all’etica, un docente che continua a svolgere la sua attività questo mi sembra un fatto grave. A suo tempo, quando qualcuno suggerì di lasciarlo a casa, Scialfa, perché per educare i giovani occorre essere portatori di principi sani, trovai la cosa un po’ campata in aria. la annotai come espressione di un giustizialismo esasperato. Oggi di fronte alla sua assenza ho qualche dubbio in più. Perché non avrei trovato giusto limitarlo nel suo lavoro, ma avrei preteso, allo stesso modo che Scialfa provasse in qualche modo a giustificarsi e dimostrasse pubblicamente il suo pentimento. Così mi è sembrato tutto troppo facile. Tutto da banda di furbetti, che ancora una volta si fa scudo dietro ad un privilegio, pienamente legittimo sul piano processuale, ma aspramente criticabile su quello umano.
Eppure io rifuggo certa propaganda giustizialista. Mi interrogo sulla deriva insultante abbracciata dall’ex candidata presidente in Regione per i pentastellati, Alice Salvatore, che apostrofa il Pd come il partito dei detenuti e parla di Alcatraz come della loro sede. Non sono d’accordo nemmeno sulle responsabilità che i giudici hanno voluto imputare alla capogruppo ed ex assessore regionale Raffaella Paita in occasione dell’Alluvione del 2014, e giudico la pena di 2 anni e 8 mesi, richiesta dal pm, troppo elevata. I nostri amministratori, talvolta pagano direttamente per l’incapacità dei loro tecnici o per un’ organizzazione che non funziona a dovere.
Ritengo però che la mano debba essere più pesante quando si tratta di malversazioni. E in nome dei finanziamenti ai partiti la casta ne ha compiute parecchie come attestano i casi ancora al vaglio dei magistrati, in cui sono implicati altri politici.
E a questo punto vorrei introdurre il problema della casta. E non grillescamente parlando, ma lasciando da parte le battute fulminanti e cercando di ragionarci su. Perché’ sulla stessa pagina del maggior quotidiano locale che mi pregiavo di sfogliare, la mia attenzione e’ stata attratta da un altro titolo. “Boeri all’attacco dei parlamentari, vitalizi da tagliare”. Dove Boeri e’ il presidente dell’Inps, reduce dal l’audizione in commissione affari costituzionali, dove ha sostenuto che 2600 onorevoli incassano 193 milioni di euro. Il doppio di quanto hanno versato. La proposta è quella di ricalcolare con il metodo contributivo l’intera carriera dei parlamentari allineando il trattamento dei politici a quello di tutti i lavoratori italiani. Supponendo di agire su una platea ampliata agli ex consiglieri regionali il risparmio solo per il 2016 arriverebbe a 148 milioni. E mettendo in connessione il bene del vitalizio con la propensione al saccheggio di alcuni nostri politici e’ logico che la rabbia salga ancora. Giustificando lo scollamento della cittadinanza dai palazzi del potere e addirittura l’ascesa di Beppe Grillo. Con un distacco tanto più alto quando cala l’età. I nostri giovani, per la maggior parte precari e probabilmente senza pensione, hanno gioco facile nell’addossare a noi che abbiamo creduto nella partecipazione e nella politica l’inizio di tutto.
E proprio domani alle 11 a palazzo Ducale e’ previsto un incontro organizzato dalla Gioventù federalista europea, sezione di Genova, sulla partecipazione dei giovani alla politica. Moderati da Luca Bonfiglio, esponente della gioventù federalista europea si alterneranno l’europarlamentare del Pd Renata Briano, il consigliere comunale PdLe coordinatore di Ncd, Matteo Campora, il consigliere comunale Marianna Pederzoli della Lista Doria-rete a sinistra e il consigliere regionale del MoVimento 5 Stelle Alice Salvatore. Tutti politici giovani, anche se più o meno di lungo corso. La riflessione di Michele Ballerini, vice presidente del Movimento federalista europeo può esse utile “Può darsi che la distanza tra i giovani e la politica sia un mito da sfatare come altri. Ci sono pochi dubbi nel fatto che la politica stia vivendo una crisi di partecipazione e di consenso e che siano soprattutto le generazioni più giovani a disertarla. Però la spiegazione potrebbe essere meno scontata di quelle in cui, solitamente, ci imbattiamo sfogliando il web e i giornali. Forse i giovani hanno le loro buone ragioni”. E speriamo che qualcuno dei presenti sia disponibile a fare il mea culpa per una classe politica che francamente, tra paghetta, furbetti e vitalizi, proprio non ci meritiamo. E la ragione del disagio e del distacco dei nostri giovani, probabilmente, e’ legata alla sensazione di smaccato interesse, sempre personale e mai collettivo, che la nostra casta continua indefessamente a proporci.
Il Max Turbatore

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