L’inchiesta – La prostituzione nel centro storico – La mappa
Le donne che si danno il cambio nell’area tra San Luca, Maddalena, Macelli di Soziglia e San Siro sono oltre 300 e a lavorare contemporaneamente sul territorio ogni giorno sono circa 100. Sono soprattutto straniere, ma regolari sul territorio nazionale, spesso per riconoscimento di cittadinanza europea. Non esiste più lo sfruttamento tradizionale, ma i proprietari di case e bassi chiedono spesso una maggiorazione “in nero”: si tratta pensionati, esponenti di famiglie in vista o gente che ha ereditato immobili fatiscenti e li affitta così, col minimo sforzo e il massimo guadagno. Nel centro storico c’è anche un’agenzia immobiliare “specializzata” nella gestione
di Monica Di Carlo
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È quasi impossibile raccontare delle prostitute nel centro storico genovese senza cominciare con una canzone di De André. Non dall’ormai abusata “Via del Campo” (che in realtà parla di un travestito, la Morena, morta qualche anno fa portando nella tomba i segreti dei suoi tanti clienti vip che teneva annotati in un quadernetto e che, di quando in quando, minacciava di rendere pubblici), ma da “La città vecchia”, dove si racconta di una giovanissima prostituta che si atteggia a “donna di mestiere” e di un professore bacchettone in realtà schiavo di quegli incontri a pagamento che riesce ad ottenere solo quando, ogni mese, gli arriva la pensione. Vecchie e nuove storie che si incrociano sulle lastre di luserna dei carruggi, quelle sì, sempre le stesse, dove le “belle di giorno” ormai non sono mai minorenni e quasi mai sono italiane. Nel 1965, quando la canzone venne incisa, l’Italia era in pieno boom economico e di lavoro ce n’era tanto, anche per le prostitute. La tariffa indicata da De Andrè nelle strofe della sua canzone è di 10 mila lire per ogni “marchetta” che, secondo lo strumento Istat online per il calcolo delle rivalutazioni monetarie, equivale a 103 euro odierni. Oggi la tariffa oscilla tra i 20 e i 30 euro. Tutta colpa della legge economica, universale e senza tempo, della domanda e dell’offerta. Intendiamoci non che i genovesi siano diventati meno “valenti”, ma la popolazione si è ridotta (e, in proporzione, i clienti delle prostitute) ed è diventata più anziana, tanto che molti dei potenziali frequentatori, scivolati inderogabilmente nella terza età, potrebbero aver loro malgrado perso il vizio prima del pelo o essere alle prese con assegni mensili così bassi da non consentire di finanziarsi lo “svago”.
La consistenza del fenomeno e gli orari
Per contro, l’offerta si è moltiplicata: le donne in strada nella sola zona del centro storico dove si concentra il mestiere più vecchio del mondo, tra Sottoripa, la zona degli orti di Banchi, le Vigne, la Maddalena e i Macelli di Soziglia, sono ogni giorno oltre 100 e sono circa in 300 a darsi il turno tra carruggi e piazzette. La crisi fa sì che la concorrenza sia spietata e alle donne sia necessario non abbandonare mai la postazione, sin dalle prime ore dopo l’alba quando studenti, artigiani, operai, impiegati e pensionati cercano di cominciare la giornata in positivo addentrandosi nell’intricato gomitolo dei vicoli e appartandosi con le “signorine”. Da qualche tempo molte lavoratrici sessuali accettano anche buoni pasto che certi operai o impiegati usano così, magari proprio nella pausa pranzo. Non è quindi impossibile vedere le prostitute già alle 8 del mattino – quando mogli e fidanzate non hanno avuto ancora né il tempo né la voglia di darsi un po’ di mascara – tirate perfettamente a lustro e arrampicate su tacchi da incidente ortopedico annunciato. La postazione non si abbandona mai perché basta un attimo di distrazione per perdere una prestazione e i suoi relativi proventi.
I pasti “veicolati” direttamente nei bassi
Così, le donne non vanno nemmeno a pranzo. Ordinano al mattino a uno dei centri di cottura abusivi e all’ora giusta arriva nel basso o nell’appartamento il pasto veicolato. Il pagamento non avviene mai contemporaneamente alla consegna per evitare che le forze di polizia possano mettere in relazione le cose e portare alla luce l’attività di somministrazione non autorizzata. È questo uno dei sistemi di sfruttamento della rete della prostituzione. Anche quello è completamente cambiato. Non esistono più reti di sfruttamento diretto come il racket delle albanesi degli anni ’90. Almeno non nel centro storico. Le prostitute sono volontarie e al massimo rispondono economicamente a un “fidanzato”, molto spesso straniero come loro, non necessariamente della stessa nazionalità, oppure a una donna che chiamano “mamma” (nella loro lingua d’origine), ma non si sa se è la loro vera madre o piuttosto una sorta di figura di rifermento-protettrice-factotum. Anche in questo caso l’illegalità del rapporto è praticamente impossibile da provare. Lo sfruttamento oggi si sostanzia negli affitti astronomici portati a casa dai proprietari (quasi sempre italiani e non di rado membri di autorevoli famiglie locali) per “chiudere un occhio” sulle attività che si svolgono nella loro proprietà, nel “subappalto” dei bassi tra una prostituta che ne ha in affitto uno e che, per svariati motivi (perché ha trovato un marito che la mantiene, un lavoro migliore o, semplicemente, per un periodo lavora in un’altra città) non lo usa direttamente, nei “servizi” offerti da chi porta il caffè, detersivi o i preservativi a domicilio, ovviamente con un piccolo ricarico. C’è gente che vive proprio così, prestando servizi alle prostitute che non si possono muovere dalla porta del basso. E c’è persino un “commesso viaggiatore” specializzato in abiti che gira col suo borsone a presentare la merce alle signorine sull’uscio dei loro magazzini.
Esiste anche un altro curioso fenomeno. Signore sudamericane che fanno il giro delle prostitute in strada, in particolare quelle sudamericane, mostrando la fotocopia di un articolo scaricato dal web in cui si racconta di un incidente o di eventi luttuosi in genere (è facile procurarselo stampando qualsiasi articolo disponibile sulla rete) e chiedono 5 euro per le famiglie. Questo foglio viene appicciato su un quaderno sul quale le donne che fanno la colletta annotano minuziosamente ogni contributo, pari alla cifra fissa di 5 euro. Si tratta di una sorta di eterna raccolta soldi per motivi in realtà nebulosi alla quale le prostitute mai si sottraggono. Ci sono poi connazionali (anche in questo caso si tratta di donne) che funzionano come “servizio” per l’assistenza medica: portano le donne dal dottore se stanno male e si occupano di procurare loro le medicine o le cure.
L’area, i bassi e le case
Tutto questo accade nella zona che sta tra Sottoripa e via Garibaldi (a sud e a nord) e tra San Siro e Macelli di Soziglia (a est e a ovest). Questo non vuol dire che altrove non ci siano fenomeni isolati di prostituzione in appartamento, ma questo accade in tutta la città.
Sia chiaro che la prostituzione non è illegale per la legge italiana. Sono illegali, invece, oltre ad eventuali atti osceni (a volte le signorine, specie col caldo, si vestono un po’ troppo succintamente, tanto da mettere in mostra la “merce” che offrono e in quel caso interviene la polizia municipale, sebbene in cronica carenza di personale), lo sfruttamento e il favoreggiamento. Per avviare un procedimento per sfruttamento, le forze di polizia devono poter provare una condizione di sottomissione, in cui viene a trovarsi il soggetto dedito alla prostituzione, cioè la possibilità che il colpevole possa partecipare ai proventi economici derivanti dalla prostituzione medesima. Lo sfruttamento deve, quindi, consistere nella partecipazione finanziaria all’esercizio della prostituzione, in modo da far conseguire, in capo al colpevole, “utilità economicamente valutabili”. La legge richiede la partecipazione alla prostituzione altrui e non ai guadagni che la prostituta ricava dalla sua attività e questo garantisce un’interpretazione maggiormente estensiva per quello che può attenere all’economicità della partecipazione. Insomma, lo sfruttatore non è necessariamente il “pappone” come lo intendevamo una volta, ma anche, ad esempio, il padrone di casa o del basso che chiede una maggiorazione rispetto al prezzo di mercato alla luce del suo utilizzo. Questo è, ovviamente, difficilissimo da provare (il “sovrapprezzo meretricio”, ovviamente, non si legge sul contratto e viene chiesto in nero). Nel centro storico esiste anche un intermediatore immobiliare specializzato nell’affitto di case e bassi per la prostituzione e i proprietari, quindi, potrebbero anche non sapere che il loro immobile viene usato a quello scopo. Esistono famiglie, anche molto note in città, che hanno vaste proprietà immobiliari nei carruggi e, semplicemente, le danno in gestione per minimizzare i problemi. Più facile, però, che a non sapere siano le persone che hanno ereditato qualche immobile in zona degradata da parenti defunti e magari non abitano nemmeno in zona. Li affidano, dunque, perché non saprebbero come affittare direttamente un magazzino malconcio né hanno voglia di girare per i vicoli più mal frequentati per riscuotere la pigione.
Fino a qualche anno fa le prostitute operavano prevalentemente in alcuni degli immobili della famiglia Canfarotta (situati soprattutto alla Maddalena), oltre 132, sequestrati dalla Dia, la Direzione investigativa antimafia, (si tratta il più grande sequestro di immobili per criminalità organizzata effettuato in Nord Italia, reso definitivo con sentenza della Cassazione del 2014) nell’ambito dell’operazione “Terra di Nessuno”, che contestava ai prevenuti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e lo sfruttamento della prostituzione, reato, quest’ultimo, per il quale i coniugi Canfarotta erano già stati condannati, in altro procedimento, con sentenza irrevocabile.
Qui potete leggere la sentenza della Cassazione
Qui il primo decreto di sequestro
Ora quegli immobili sono gestiti dall’autorità creata dallo Stato proprio per gestire i beni confiscati alle mafie e in parte saranno acquistati dal Comune e utilizzati per azioni che mirano a migliorare la zona e, quindi, a tentare di sanare il degrado creato da anni di utilizzo di bassi e appartamenti come sede di meretricio.
Se la magistratura non ha dubbi sul sequestro in caso di criminalità organizzata, meno scontato (anzi, piuttosto raro) è il sequestro dell’immobile a piccoli proprietari. Con una sentenza del 2015, il Giudice di legittimità ha confermato i propri precedenti giurisprudenziali sulla (ir)rilevanza penale della locazione di immobile ad una prostituta a prezzo di mercato, con riguardo alle ipotesi criminose di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, di cui all’art. 3 della legge n. 75 del 1958 (meglio conosciuta come “Legge Merlin”). È necessario, dunque provare con certezza sia lo sfruttamento (la “maggiorazione meretricio” rispetto alla cifra pattuita nel contratto d’affitto, rigorosamente in nero, abbiamo detto) e il fatto che i proprietari siano a conoscenza dell’uso che ne viene fatto. Lo stesso problema si verifica, tra le altre cose, per i sequestri, chiesti a gran voce dai cittadini di Pre’, degli appartamenti utilizzati come dormitorio-laboratorio della contraffazione dai centroafricani.
La “destinazione d’uso” di fatto dell’area della Maddalena come sede privilegiata della prostituzione ha, però, ragioni ben più antiche. Il meretricio è di casa alla Maddalena sin dalla metà del Cinquecento. Lì si spostarono le lavoratrici sessuali dell’epoca quando la Repubblica le buttò fuori dall’area di via Garibaldi che venne “valorizzata” (proprio come si fa adesso) vendendo appezzamenti ai privati che lì costruirono le loro dimore, diventate tutte “Palazzi dei Rolli” e, recentemente, patrimonio dell’Umanità Unesco.
Qui un articolo in cui si racconta nel dettaglio la storia della “Pigalle genovese” ante litteram.
Le nazionalità e la mappa
La stragrande maggioranza delle prostitute è sudamericana (le ragazze provengono dalla Colombia, dall’Ecuador, dalla Repubblica Dominicana e dal Perù), ma ci sono anche magrebine, italiane, centroafricane e persino una brasiliana e una romena. Operano a pochi metri dalla sede del Comune, dai musei comunali di Palazzo Rosso e Palazzo Bianco e nei pressi del museo statale di Palazzo Spinola di Pellicceria. Tra vico Rosa e vico del Pepe ci sono proprio molte sudamericane oltre a qualche magrebina e a una cinese (ma di nazionalità effettiva sudamericana-spagnola). In vico Dietro al Coro della Maddalena, via della Maddalena, vico Galera, vico dei Gattagà, vico Salvaghi, vico Angeli, vico del Duca (dove una di loro adesca dalla finestra, come accade ai Macelli di Soziglia), vico del Trogoletto sono tutte sudamericane, in prevalenza colombiane, ma c’è anche una romena. Molte di loro hanno fidanzati magrebini o connazionali. In un palazzo di piazza Lavagna abitano (e lavorano) due ragazze di colore sudamericane (con ogni probabilità colombiane) che adescano su via della Maddalena. In vico Lavagna abitano a due piani differenti di uno stabile due paraguaiane e due colombiane. In vico Cannoni abita e si prostituisce l’unica prostituta brasiliana della zona. In via della Maddalena adescano, come si è detto, alcune sudamericane, ma anche delle ragazze marocchine. Sudamericane anche in vico delle Fasciuole e vico Droghieri mentre attorno a Palazzo Spinola adescano alcune nigeriane che lavorano anche in vico Morchi e si spingono a volte fino a San Luca e, di notte, in Sottoripa. Queste sono le uniche non presenti regolarmente sul territorio nazionale, infatti scappano a velocità da centometriste alla vista di ogni divisa. Nella zona di piazza di Santo Sepolcro e vico Mele lavorano una marocchina e diverse italiane. Le più giovani si trovano in cima a vico Mele mentre quelle “di lungo corso” operano più in basso e nella piazzetta, proprio vicino alle sudamericane che si vendono in vico Colalanza. In via delle Vigne si prostituiscono diverse dominicane di colore, le uniche che potrebbero essere soggette a uno sfruttamento di tipo “tradizionale”.
Cliccate sulla mappa per ingrandirla
La polizia municipale, pur in estrema e ormai cronica carenza di organico, opera continuamente per contenere eventuali abbigliamenti “non consoni” sulla strada (cioè per mantenere il decoro), per evitare che le prostitute adeschino con metodi troppo “violenti”, per verificare che non ci siano minorenni (le ultime tre segnalazioni riguardavano in realtà donne tra i 21 e i 23 anni) e che tutte siano legalmente sul territorio. La maggior parte ha il passaporto spagnolo. Il paese iberico, così come ha fatto il Portogallo col Brasile, ha firmato trattati internazionali sulla “doppia cittadinanza” (doble nacionalidad) con i paesi ispano-americani o con altri paesi che abbiano mantenuto particolari legami con la Spagna, sulla base del principio di reciprocità. Quindi, di fatto, le prostitute sudamericane sono quasi tutte cittadine europee, quindi non si possono espellere, così come le romene.
Come si è detto, la prostituzione non è reato anche se, effettuata in questo modo, in maniera così massiccia, porta al degrado il territorio quantomeno per quanto riguarda la percezione dei genovesi e dei sempre più numerosi turisti, non è perseguibile per legge.
Le forze di polizia (il cui organico, anche in questo caso, si è via via assottigliato negli ultimi anni e negli ultimi tempi viene dedicato in maniera massiccia ai servizi anti terrorismo) possono e devono perseguire i comportamenti scorretti, lo sfruttamento e il favoreggiamento, ma non possono intervenire su chi liberamente e in condizioni di legittimità vende se stesso. L’unico vero modo per disgregare una presenza così forte da generare degrado e sensazione di insicurezza tra i cittadini è un ben più ampio e a lungo termine piano di recupero della zona che porti all’apertura di locali regolari e negozi. Col recupero, i proprietari riterranno più conveniente affittare gli appartamenti a chi ci abita e non a chi ci si prostituisce. Anche il provvedimento deciso dall’allora giunta Vincenzi che ha chiuso i magazzini al piano strada altro non ha fatto che spingere le prostitute ai piani alti non riuscendo affatto a debellare e nemmeno a ridurre il fenomeno.
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