Nina Giustiniani, la colta patriota carbonara amante di Cavour che si uccise per la sua passione ossessiva
Donna dalla raffinata cultura illuminista, conosceva 4 lingue e il dialetto genovese. Fervente mazziniana (Mazzini era molto legato alla famiglia paterna), finanziò la Giovine Italia e fu “giardiniera” della Carboneria. Molti uomini la amarono, lei impazzì e si uccise per la fine della relazione con Camillo Benso conte di Cavour. Abitò nel corso della vita in tre dei palazzi dei rolli e in quella che oggi chiamiamo “Villa Duchessa di Galliera”, a Voltri, dove arde ancora la fiamma da lei voluta per i marinai. Si suicidò buttandosi da una finestra di Palazzo Lercari, in Strada nuova, oggi al civico 3 di via Garibaldi
Camillo caro,
Camillo bello te veuggio tanto ben, ma quando te ou pourrò dì. Son tanta fiacca a me existensa a le così precaria che non ho coragio de pensà à l’avvegnì. Però, quello che posso assegurà, le che ou me coeu ou sarà sempre to, viva o morta son a to – e tanto che questa machinetta a m’apparten a sarà a to vorreivo ese bella per piaxeite, vorreivo ese forte e ben stante e libera e avei molti dinai per seguite de lungo apreuvo. Questi son seunni: beseugna che m’adatte ae triste circostanze ne’ quali me treuvo, e che seggie ben contenta che ti te ricordi de mi. Te daggo tanti baxi.Tutta to Nina.
di Monica Di Carlo
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Così, nel 1841, scrive Anna Schiaffino Giustiniani, prima di metter fine alla sua vita il 24 aprile, ad appena 34 anni. Prima di gettarsi dalla finestra di Palazzo Lercari Parodi (nella foto sotto), spinta dalle pene d’amore e, soprattutto, dalla sua follia. Camillo Benso, conte di Cavour, la chiamava Nina e lei gli scriveva lettere in dialetto piene di baci.
La famiglia pensava fosse pazza. Forse era semplicemente troppo infelice, di quell’infelicità di cui sono pieni i libri del Romanticismo e di cui solo una donna colta e intelligente come lei era può essere capace. La sua storia, in effetti, sembra proprio un feuilletton romantico. Gli elementi ci sono tutti. L’amore per Camillo e i tradimenti del conte di Cavour, l’incomprensione tra lei e i genitori, la tristezza della vita con il marito, conservatore e reazionario e, a quanto raccontano le cronache, decisamente noioso.
Nina è figlia del barone Giuseppe Schiaffino di Polanesi (Recco) e di Maddalena Corvetto, detta Manin e nipote di Luigi Emanuele Corvetto, economista e ministro delle finanze francese, consigliere di stato e conte per volontà di Napoleone Bonaparte, già esponente di spicco della Repubblica Ligure. Trascorre i primi anni di vita a Parigi, dove il padre era a servizio di Luigi XVIII e quando di anni ne ha 10 arriva in Liguria con la famiglia, perché il padre viene nominato nominato console generale di Francia nella nostra città. Trasloca in Palazzo Andrea e Gio. Batta Spinola – Doria, in via Garibaldi 6 (allora “Strada Nuova”), sede del consolato.
A 19 anni il padre e, soprattutto, la madre accettano la proposta di matrimonio avanzata dal marchese Stefano Giustiniani, che ha 7 anni più di lei, fa parte di una delle famiglie più influenti della città ed è un fedelissimo del re Carlo Felice di Savoia. Insomma, per la madre di Nina, figlia unica, è il partito migliore sulla piazza. La coppia si sposa nella chiesa della Maddalena e va a vivere in piazza San Siro (oggi piazza Luccoli), in Palazzo De Mari (nella foto sotto).
Di Stefano, tarchiato e di media statura, si dice che sia uomo compassato fino alla noia, scettico sino al cinismo, pronto all’astuzia e all’intrigo, sostenitore delle idee più reazionarie del tempo. Lei, invece, è mazziniana e filo repubblicana. Finanzia addirittura la Giovine Italia. È dotata di una vivace intelligenza e, dal 1927, diventa la padrona di casa di uno dei pià prestigiosi salotti culturali e politici dell’epoca. Fra i frequentatori ci sono Agostino Spinola, Giacomo Balbi Piovera, Nicola Cambiaso e Bianca Rebizzo, moglie di Lazzaro Rebizzo, poi amante dell’armatore Raffaele Rubattino, organizzatore della spedizione dei Mille. È lì, nel 1830, conosce il giovane ufficiale del genio Camillo Cavour. E lì cominciano la sua felicità, la sua disperazione, la sua follia e la strada che la porterà inesorabilmente alla morte. La sua breve storia finisce nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1841. Nina tenta per una terza volta il suicidio, si getta dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari (nella foto sotto) , in coincidenza dell’anniversario del primo incontro con Cavour. Il salto di undici metri non basta a stroncarle la vita all’istante e lei deve soffrire diversi giorni prima di trovare la pace.
La donna che ti amava è morta – scrive Nina nella sua ultima lettera a Cavour – ella non era bella, aveva sofferto troppo. Quel che le mancava lo sapeva meglio di te. È morta, dico, e in questo dominio della morte ha incontrato antiche rivali. Se essa ha ceduto loro la palma delle bellezza nel mondo ove i sensi vogliono essere sedotti, qui ella le supera tutte: nessuna ti ha amato come lei. Nessuna!
I testimoni del tempo raccontano che Cavour non provò né rimorsi né rimpianti. In quel periodo aveva un’amica assidua nella signora Emilia Nomis di Pollone. In effetti mai fu fedele a Nina, né si preoccupò di nasconderle i rapporti, non occasionali, che intratteneva con le altre, come la marchesa di Castelletto. Nella sua vita ebbe nobili e ballerine e persino donne di cattivissima reputazione, come Costa Ghighetti, conosciuta in un bordello di Parigi. In più, aveva il vizio di intrattenere carteggi piccanti con le sue amanti. Per venire in possesso e distruggere le lettere scritte all’ultima amante in modo da salvaguardare la memoria di Camillo, il re Umberto I dovette sborsare mille lire, concedendo anche al proprietario un’onoroficenza. Il nipote del conte di Cavour ne dovette acquistare altre per toglierle dalla circolazione. Tante sono anche le lettere tra il conte di Cavour e Nina. Alcune le intercettò il marito di lei. In alcuni casi ne ritardò l’invio, in modo da ostacolare gli incontri e creare malumori tra i due amanti, altre le trattenne come prova in un’eventuale causa di separazione. «Quella per il tenente Cavour? È solo una passione – diceva il marchese Giustiniani -. La verità è che Nina non è in possesso delle sue facoltà mentali». Il marchese permette all’inizio della storia (prima che Camillo Benso, nel 1831, venga mandato in esilio da Carlo Felice e confinato nel forte di Bard in Val D’Aosta per più di un anno perché accusato di cospirazione politica) che l’amante vada a trovare a casa a sua moglie e, addirittura, esce di casa per non incontrarlo, permettendo così che la storia continui. Permette anche che, nel ’34, Benso vada a trovare Nina a Voltri dopo un periodo in cui lei si era fatta accompagnare dal marito “per ragioni di salute” alle terme di Vinadio, dove, guardacaso, Benso aveva portato la madre. Nel ponente genovese, i due amanti vanno in gita a Vesima e all’Acquasanta dove Cavour assiste a una processione delle Casacce e ne rimane colpito, tanto da descriverla minuziosamente sul suo diario. Nina, però, gli è venuta a noia. Il conte di Cavour torna per l’ultima volta a Voltri tra il 15 e il 18 ottobre, prima di partire per Parigi. Non si vedranno mai più
Non solo il marito, ma anche i genitori credono Nina completamente pazza e alla fine cominciano a pensarlo anche gli amici. Buona parte della follia della donna è incanalata in un’ossessione oggettivamente insana per Camillo Benso, tanto che arriva anche a scrivergli anche 150 lettere in un anno. Questo non vuole dire che gli sia fedele. Nina è anche “giardiniera” della carboneria, cioè raccoglie fondi per la causa. Il suo nome figura nelle liste di proscrizione a seguito del fallimento dei moti mazziniani e per questo, nel 1834, deve lasciare Genova per trasferirsi a Milano, presso una cugina. Qui Nina incontra, dopo molti anni, Carlo Pareto, giramondo e rampollo di una delle più antiche famiglie genovesi. Carlo ha cinque anni meno di lei e la ama da sempre. Morirà molti anni dopo, nel 1881, sul letto di un manicomio, stringendo al petto le poche lettere da lei ricevute. Nina compensa la devozione di Carlo, tradisce Camillo e glielo confessa l’anno seguente.
Nina ha uno stuolo di ammiratori, uno dei quali, Lazzaro Rebizzo, le salva la vita due volte. Il 3 agosto 1835 Nina scrive a Camillo che riesce a fermarla mentre lo sta per raggiungere a Milano nonostante stia infuriando il colera. Lei scrive sul suo diario: <I tuoi consigli mi hanno decisa. Vedo che attaccandomi alla tua sorte ti renderei infelice. Se è vero che le nostre anime sono fatte l’una per l’altra si ritroveranno nell’eternità>. Poi beve del veleno. Rebizzo se ne accorge e chiama i soccorsi. Nina non muore, ma il veleno ha ugualmente effetti dannosi sulla già precaria salute mentale della donna. Nina cerca di nuovo la morte nel 1838 dopo che il padre muore proprio di colera. Anche in questo caso, Rebizzo la salva. Ad assisterla durante la convalescenza è il poeta Giuseppe Gando che la ama a tal punto che, alla sua morte, decide di farsi prete. Ma nel cuore di Nina c’è sempre Camillo e la vita senza di lui gli sembra insopportabile. Scrive Nina Giustiniani
La mia vita è così passata! E io, Nina, tanto giovane la trovo lunga, troppo lunga questa vita che non è che un sogno. Mio Dio, se sento l’amore che è in me! Sono le quattro del mattino. Io, io chi? Cosa? Perché? Lo saprò mai? Potrò mai rendermene perfettamente ragione? Io so che due occhi, una fronte cara mi hanno fatto augurare a me stessa l’anestetizzazione, mi hanno fatto completamente dimenticare la mia esistenza personale, avrei voluto che tutto quello che ho di vita fosse consumato in uno sguardo – che significa questo? Perché per me la mia felicità risiede in un altro? E perché quest’altro è Camillo? Camillo! Ah Camillo!
Passano gli anni e il dolore per l’assenza è sempre più grande. Nella notte tra il 23 e il 23 aprile 1841, Nina apre la finestra della sua camera a Palazzo Lercari e si getta di sotto.
Parte della corrispondenza tra lei e Cavour è stata raccolta da un collezionista americano, Henry Nelson Gay, dopo essere stata rinvenuta in un ripostiglio nascosto dello scrittoio appartenuto a Stefano Giustiniani, mentre una restante parte del carteggio è stata recuperata fra le carte private dello stesso Cavour.
Le spoglie di Anna “Nina” Schiaffino Giustiniani (che dal marito ebbe tre figli) riposano nella chiesa della Santissima Concezione, conosciuta anche come “chiesa- convento dei frati minori cappuccini – Padre Santo”. Il marito, che tante ne aveva passate sia per i tradimenti, sia per l’impegno politico della donna, non la volle accanto a sè per il riposo eterno e decise che nella cappella di famiglia a Voltri fosse sepolta con lui la seconda moglie, Geronima Ferretti, sposata nel 1846. Geronima fu il primo appassionato amore di Goffredo Mameli che per lei scrisse appassionate poesie. Nemmeno la famiglia d’origine diede il permesso per la sepoltura nella cappella della famiglia paterna a Recco o quella dell’amatissimo nonno materno che si trova nella Chiesa Plebana di Nervi.
Sulla sua lapide sta scritto “Annae Schiaffini Corvetto, Pridie Calendas Maias Sui Patriaeque Erptae Stephanus Ex Giustinianeis D. Chiens Parvique Nati Uxori Matrique Optatissimae Insolabiles Poneband“.
Nina volle che fosse posta nelle mura vicino al Castello di Voltri (che noi conosciamo come Villa Duchessa di Galliera) una madonna con il lume sempre acceso, affinchè i marinai la scorgessero e la venerassero e raccomandò che dopo la sua morte questo lume continuasse a restare sempre accesso. Passato il castello ai Brignole Sale, la Duchessa di Galliera rispettò sempre il voto di Nina ed impose, per testamento, che lo rispettassero anche i suoi eredi, che oggi sono i cittadini di Genova, perché la villa è passata al Comune. In quella fiamma sta lo spirito dell’amore tormentato della sfortunata giovane donna suicida.
Nina Giustiniani è stata una patriota, una donna che ha saputo lavorare per la causa della Carboneria e sfidare l’autorità sabauda. Come quella volta che si presentò a teatro lirico per una serie di serate, insieme a Teresa Durazzo, Carolina Celesia, Fanny Balbi Piovera e Laura Dinegro, con abiti sgargianti, invece che con i vestiti neri a lutto che la recente morte del re Carlo Felice avrebbe dovuto consigliare. Le quattro donne si vestirono di azzurro, rosso, porpora e ocra. Era una sorta di una “dimostrazione politica”, una protesta per l’indipendenza persa dalla Repubblica di Genova che il Congresso di Vienna aveva assoggettato alla casa reale dei Savoia a cui apparteneva il re defunto. In realtà si dice che Nina lo abbia fatto anche in segno di spregio nei confronti di quel re che aveva mandato al confino Cavour, allontanandolo da lei.
Era una persona di cultura non comune. Fu educata da precettori francesi, dalla zia Anna Littardi che le insegnò l’arte del ricamo e soprattutto dal nonno Luigi, che la portava nei musei cittadini e le aveva insegnato l’amore per la musica, la scienza e la letteratura. La sua lingua madre era il Francese (le sue lettere scritte a Cavour sono quasi tutte in Francese), ma parlava e scriveva anche Italiano, Inglese e Tedesco, oltra al Genovese.
Fu molto amata, ma il suo triste destino fu quello di non essere amata veramente proprio dall’uomo che per lei era la vita e che l’ha consegnata alla follia e alla morte. Come è accaduto e accade ancora a molte donne, si gettò via per l’ossessione di un amore malato e non realmente ricambiato.
«Io non so nulla tranne d’amarti tanto.
Tu sei tutto per me. Sei un essere soprannaturale. Tu assorbi tutti i miei pensieri, tu mi domini….
Voglio la tua felicità prima della mia…
Camillo, sono tua per sempre»
©Alcuni diritti riservati
Per ulteriori approfondimenti, potete consultare la Documentazione presente nelle ricerce bibliografica online dell’ICCU-Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane:
– Camillo Benso Conte di Cavour: “Lettere d’amore / Camillo Cavour”, con prefazione di G. Visconti Venosta ; presentazione e note di Maria Avetta (Torino : ILTE, stampa 1956)
– Codignola Arturo: “Anna Giustiniani : un dramma intimo di Cavour / Arturo Codignola” (Milano : Garzanti, stampa 1940)
– Camilla Salvago Raggi: Donna di passione, un amore giovanile di Cavour. Edizioni Vinnepierre 2008
Qui potete leggere alcune delle lettere di Nina, conservate al museo cavouriano presso il castello di Santena http://www.camillocavour.com/search/Archivio%20e%20Biblioteca/results/
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