Con un piatto di farinata davanti a Natale si diventa ancora più buoni
Di Black Giac
L’atmosfera natalizia impone rimpatriate gradite e gradevoli, nella maggior parte dei casi si affollano ipotesi di serate che poi “saltano” all’ultimo minuto a causa del traffico collassato che ci ha bloccato sull’autostrada o per la classica influenza di stagione che frustra i 30 appuntamenti presi in precedenza per le giornate della vigilia.
Ebbene se riuscite a scampare alle mille insidie della vigilia di Natale, concedetevi una serata speciale con gli amici davanti al piatto più tradizionale di tutti, l’antico sapore che proustianamente ci riporta alla nostra infanzia e con un po’ di attenzione e ricerca, ai primordi dell’umanità: la farinata.
Scegliete il vostro “fainotto” di fiducia, per quanto le rigide e un po’ ottuse regole igieniche dei nostri tempi abbiano progressivamente costretto a chiudere le favolose “sciamadde” sparse sul territorio, (per far sorgere al loro posto locali in perfetta norma ma che vendono prodotti nel migliore dei casi surgelati di dubbia provenienza) qualcuna resiste. Individuatela e organizzate. Se c’è un modo per riscoprire il Natale, al di là dei suoi significati strettamente religiosi, è anche quello di risalire ai sentimenti autentici e cosa c’è di meglio per farlo se non di fronte a un piatto dai sapori autentici?
La storia della farinata, l’originale e semplice cottura di farina di ceci e o olio, ha provenienze remote nell’antichità.
La leggenda indicherebbe la sua origine di fronte alle mura di Troia assediata dagli achei. L’idea, suggeriamo noi, potrebbe essere stata ancora una volta di Ulisse, l’intelligente e scaltro re di Itaca.
A corto di viveri ebbero l’idea di mettere a cuocere la farina di ceci mescolata all’olio e non avendo pentole adatte decisero di farlo dentro ai loro scudi. Un piatto che poteva esere consumato velocemente tra una battaglia e l’altra. Un’ipotesi che sarebbe avvalorata dal fatto che la parola “testou” in greco antico significava proprio “scudo” e ancora oggi indica i caratteristici contenitori con cui viene cotta all’interno dei caratteristici forni a muro delle “sciamadde” effettivamente a ben pensarci molto simili agli antichi scudi.
Al di là della leggenda ci sarebbe invece un riferimento storico preciso che risalirebbe alla battaglia navale della Meloria del 1284 che vide i genovesi sconfiggere la flotta pisana. Di ritorno verso Genova la flotta dei vincitori incappò in una tempesta. Nella stiva si verificò il finimondo con la rottura dei barili contenti olio e farina che si mescolarono.
Passata la burrasca, si cercò di riparare i danni e di asciugare quello che era rimasto. Al sole cocente di quell’agosto l’olio e la farina mescolati rimasti casualmente dentro a qualche contenitore arrivarono a una cottura naturale nella forma, certo non ottimale come la conosciamo noi, universalmente nota come “farinata”.
Si racconta anche che fosse il cibo preferito di chi lavorava ai mulini sulle alture genovesi per via delle materie prime immediatamente a portata di mano ma la sua facile produzione nonché la sua inarrivabile gustosità e la resero la regina delle sciamadde genovesi e diffusa in tutto l’arco del Mediterraneo anche se con nomi di volta in volta diversi.
Oggi è un piatto rinomato che rientra a buon diritto nel genere “street food”. Si fa apprezzare con un buon vino rosso, un ciliogiolo o un rossese, e magari seguita da un dolce fatto in casa, perché no, il classico pandolce genovese accompagnato da un passito. Merita fare un salto a Savona, in via Pia per assaggiare la variante con la farina di grano, un piatto tanto “povero” quanto raffinato.
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