Oggi a Genova 

Torna in libreria, con inedite foto a colori, dopo 50 anni, “I Travestiti” di Lisetta Carmi. La vita delle trans del Ghetto diventa storia

Il primo libro con le immagini della fotografa genovese, scomparsa a 98 anni il 5 luglio scorso, fu pubblicato nel 1972 (dopo il rifiuto di molte case editrici) e fu un totale insuccesso. Oggi chi lo ha deve sapere che vale un capitale. Nei giorni scorsi è uscito una nuovo libro con lo stesso titolo, per i tipi di Contrasto. L’altro era un libro di denuncia sociale di bruciante attualità nell’Italia bigotta dell’epoca, questo è tra l’amarcord e la ricostruzione storica di come vivevano le transgender e dei loro sogni che, nell’Italietta post miracolo economico, si infrangevano contro il “comune senso del pudore”, a monte di decenni di lotta per i loro diritti

Cinquant’anni fa fu il pubblicitario Sergio Donnabella a investire dieci milioni di tasca sua, per la casa editrice Essedì per pubblicare il libro fotografico che è un reportage sociale, con le foto scattate da Carmi in cinque anni di frequentazione dei “travestiti” del Ghetto. Un termine che oggi nessuno userebbe e che all’epoca era il modo, al contempo pudico-bacchettone e denigratorio, per definire i transessuali. All’epoca, come oggi, la prostituzione non era un reato, ma travestirsi sì. Peraltro anche oggi permane un’ammenda che nessuno più, per fortuna, applica, legata più che altro al divieto di celare il proprio aspetto reale per prevenire azioni criminose vere e proprie, come le rapine.

Il libro, nel 1972, vedeva i testi di Lisetta Carmi e dello psicanalista Elvio Fachinelli e l’impaginazione grafica di Giancarlo Iliprandi. Non è mai stato un voler solleticare le maliziose prurigini, vero volto dell’ipocrisia del puritanesimo di quegli anni. Per spiegare la situazione: pochi anni dopo, era il 1975, la censura di Stato della Rai si era abbattuta sulla canzone cantata da Mina “L’importante è finire”, con il testo di Cristiano Malgioglio, che pure era già stata “depurata”, perché il titolo originale era “L’importante è venire”. Dopo un primo passaggio in radio, a causa dei contenuti “proibiti” del testo (niente al confronto di una qualsiasi serie tv per famiglie di oggi) era stata bandita dalla diffusione nel programma Hit Parade, ma era entrata ugualmente in classifica perché gli italiani, comunque, compravano il disco e, qualche tempo dopo, era stata riammessa agli ascolti “per forza maggiore” e per spinta dei discografici.

Il libro, si diceva, non era un modo di fare scandalo per fare cassetta. Di scandalo ne ha fatto in abbondanza perché ci furono librai che rifiutarono di venderlo e altri che lo hanno venduto poco e “sottobanco”, un po’ come quando certi uomini chiedevano “Le Ore” e il quotidiano in edicola per inserire il primo dentro il secondo. Il libro era, piuttosto, il tentativo di spiegare un mondo di quotidianità e di normalità negata da quel “comune senso del pudore” spiegato splendidamente da Fabrizio De André ne “La città vecchia”, i vicoli, appunto. La versione originale diceva, parlando delle prostitute (e dei travestiti) dei carruggi «quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia / quella che di notte stabilisce il prezzo della tua gioia». Ma la censura calò anche qui. I versi furono sostituiti in via definitiva, anche nelle successive versioni, con «quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie». Una prima versione contenente la frase originaria fu incisa, ma a causa della censura venne ritirata dalla stessa casa discografica Karim, attiva tra il 1961 e il 1966, quando fallì. Ne esistono solo poche e rare copie stampate.

Toccare il tema sesso, all’epoca, era toccare il tabù più grande e “i travestiti” erano il baratro più profondo di quel tabù. Lisetta Carmi fa girare tutto il suo lavoro, invece, sull’identità sessuale come “normalità affannata” perché appesantita dal pregiudizio, dalla paura, dal costume.

«I travestiti svolgono un servizio sociale? Sono l’espressione enfatizzata ed esasperata di un modo ormai superato (o in via di superamento) di considerare la donna come un bene di consumo? Sono l’avanguardia paradossale e contradditoria di un modo nuovo di concepire (o di abolire) i ruoli assegnati all’uomo e alla donna? O sono tutte queste cose insieme?», scriveva Carmi.

Fatto sta che il libro vendette pochissime copie. Sulla copertina originale c’era la foto di uno dei travestiti a seno nudo, un seno da maschio, come a torso nudo stava ogni uomo al mare anche all’epoca, ma il viso era truccato e i capelli acconciati alla moda femminile dell’epoca e l’immagine urtava la sensibilità dei benpensanti. Si tentò un recupero l’anno seguente, in collaborazione con la rivista “L’erba voglio”, realizzando una sovracopertina in cui si vedeva uno dei transessuali protagonisti della pubblicazione vestito da uomo, con in mano due foto di se stesso vestito da donna. A un’occhiata acritica poteva essere un uomo qualsiasi che teneva in mano le foto di una donna qualsiasi. Ma non funzionò.

Nella grafica di copertina si capisce, tra l’altro, da dove hanno preso l’ispirazione i moderni grafici che dividono titoli di mostre e iniziative fatti di una sola parola su più righe

L’editore fu ben lontano dal recuperare l’investimento e annunciò la decisione di mandare al macero le copie che stavano intasando il magazzino. Fu la scrittrice Barbara Alberti che mandò un camion a prelevare tutte le copie, pagandole e a disporsele a casa in pile per regalarle agli ospiti del suo salotto. Ciascuna di quelle copie, se è sopravvissuta al tempo, vale una piccola fortuna.

Nell’anno della morte di Lisetta Carmi, Contrasto edita un libro con le foto a colori scattate dalla fotografa in quei sei anni di frequentazione del ghetto da cui uscirono le foto in bianco e nero del libro del 1972 che lei mai volle ripubblicare, anche quando oramai era diventata famosa e i tempi erano cambiati. La sua frequentazione della comunità trans tra gli anni ’60 e ’70 al Ghetto era cominciata con una festa di Capodanno ed era continuata giorno per giorno.

Il nuovo libro è stato fortemente voluto da Carmi, che però non è arrivata a vederlo stampato. Lo diciamo subito: è meno coraggioso del primo, forse perché non vuole esserlo, forse perché racconta la stessa cosa, ma col senno di poi. Alle nudità esibite si sostituiscono quasi sempre scene di vita quotidiana nel gomitolo dei carruggi del Ghetto, rendendo anche benissimo l’idea che la zona non era quella che conosciamo adesso: c’erano diverse trattorie, lavanderie, negozi. E ci passavano abitualmente i genovesi più o meno come ora avviene in Campetto o a Soziglia.

Meno coraggioso, si diceva, perché questo libro non è fatto per testimoniare come il primo, ma per raccontare, 50 anni dopo.

Forse per rispetto alle protagoniste, ormai quasi tutte morte, molte per droga, si racconta qualcosa di non più provocatorio, ma forse più intimo, reso alla perfezione dagli abiti anni Settanta, dalle scarpine da signora o da educanda portate con le calze bianche, dai tailleur al ginocchio blu o neri, dalle borsette da “donna per bene” sfoggiate nei momenti liberi dopo il lavoro, dai cappotti di cammello, dai sandaletti bicolore, dagli orecchini discreti di perla o corallo, dalle pellicce di lapin “vorrei ma non posso” oppure di vero e costosissimo ghepardo, dai kilt da signora di Castelletto, dai tailleur neri coi bottoni bianchi e le scarpe in tinta sfoggiate in occasione di una passeggiata a Boccadasse, in mezzo alla gente cosiddetta “normale”. E reggicalze, sì, ma a sostenere calze color carne, che oggi non definiremmo affatto “provocanti”. Il desiderio di normalità si legge anche dalle foto di una bellissima trans bionda, minuta ed elegante che col fidanzato va a fare shopping alla Upim di Campetto e a prendere il caffè da Klainguti: quello che per tutti, in quegli anni, era tran tran piccolo borghese e per una trans era quasi raggiungere le vette dell’impossibile. La si vede poi in qualche foto “discinta” (così si sarebbe detto all’epoca), con la camicia aperta sui piccoli seni (anche qui viene in mente una canzone di De Andrè, Princesa) e gli orecchini di perle. Si chiama (o forse si chiamava, anche i trans del Ghetto ne hanno perso le tracce) Renée, si è operata negli anni ’70 ed era sparita dai vicoli.

«Carmi sfrutta la potenza comunicativa del colore per fare emergere la verità attraverso la concreta fisicità dei suoi soggetti – scrive il curatore Martini – la ricerca della verità è suprema linea guida di tutta la sua pratica fotografica. Non più oggetto di cronaca o di studio psico-sociologico, i personaggi che animano le sue fotografie a colori ci appaiono più vicini e reali, pienamente calati nella loro identità femminile».

Lisetta Carmi tornò nel Ghetto qualche anno fa e incontrò una delegazione formata dalle poche trans, ormai non più giovanissime. Lo racconta Rossella Bianchi, presidente dell’Associazione Princesa per la tutela dei diritti dei transgender, fondata da don Andrea Gallo. Le transgender si erano presentate eleganti e ingioiellate al meglio per l’importante incontro e lei ci rimase male perché forse sperava di trovare il mondo che aveva lasciato tanti anni prima. Nell’articolo sottostante lo racconta la stessa Rossella Bianchi. Bianchi che, nel 1972, non acconsentì (come altre) alla pubblicazione delle sue foto perché i genitori non sapevano della vita che conduceva a Genova.

Le foto del nuovo libro “I travestiti” sono inedite e a colori. Sono state trovate nel 2017 nell’archivio di Lisetta Carmi Il libro è a cura di Giovanni Battista Martini con testi di Juliet Jacques, giornalista, scrittrice e attivista per i diritti LGTBQ+ che ha raccontato in un memoir la sua esperienza di transizione, dello scrittore e psichiatra Vittorio Lingiardi e di Paola Rosina, che ricostruisce la storia del libro edito nel 1972. “I travestiti”, Contrasto, pagg. 160 con 94 foto a colori, euro 39.

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