Il trailer della mostra (semi)comunale: dall’apologia del genocidio dei nativi americani al Tricolore al contrario

Il trailer della Mostra co-prodotta, diffuso sui social comunali, è zeppo di incongruenze ed errori storici e non solo, oltre e fare l’apologia del capitalismo e del colonialismo senza morale. Nel testo del video si può sentire, tra le altre cose: «Grazie a lui (il denaro n. d. r.) abbiamo unito popoli». Più che unirli, la voracità di oro li ha sterminati: nelle Americhe si calcola che i nativi ammazzati siano stati tra i 70 e il 115 milioni. Sui social divampano le polemiche
Su Facebook c’è chi commenta stroncando il video incredibilmente zeppo di errori: «Ma che è sta roba? Tierra de Lobos?», alludendo alla nota serie televisiva spagnola di stampo fiction-western; chi condivide commentando semplicemente «Vergogna!!!» o «Brividi!!! Nel 2021 è davvero possibile?!!!», oppure «Allibita… sono senza parole!». Il video di promozione alla mostra “Il Re Denaro” sta suscitando feroci polemiche.




Scena prima, interno giorno. Un giovane uomo in abiti su per giù ottocenteschi, un po’ come quelli del Duca di Galliera nell’iconografia tradizionale, entra da una porta e si avvicina pensoso a una finestra. In una mano tiene un bastone, che fa tanto “signore”, mentre l’altra mano la tiene in tasca, proprio come nell’iconografia del ricco borghese nelle statue del realismo tardo neoclassico di Staglieno. Lo notò lo scrittore e poeta colombiano Àlvaro Mutis quando, nel 1997, a Genova per il Festival Internazionale di Poesia, si fece accompagnare al cimitero monumentale e lì fece caso tra i mille simboli dell’opulenza, proprio a quelle mani nelle tasche gonfie delle statue maschili. E infatti, nel video, il giovane uomo tira fuori dalla tasca una moneta, un genovino d’oro. Sembra un po’ di stare a guardare quei polpettoni storici del Ventennio in cui le comparse dimenticavano di togliersi l’orologio da polso prima del ciak. Perché il Genovino è stato battuto solo fino al al 1415, circa 4 secoli prima rispetto alla probabile datazione dell’abbigliamento del giovane signore. Il contesto del video sembra quello di una soap opera ispanica, tipo “il Segreto”. E chissà quanti aficionados della telenovela semi storica, guardando il breve trailer, hanno sussultato d’entusiasmo gridando al miracolo e sperando che la produzione avesse deciso di procedere alla tredicesima stagione dopo l’annunciato stop alla dodicesima. E invece no. È (dovrebbe essere) arte, dovrebbe essere cultura. Invece la narrazione si sposta sui toni del film epico, evoluzione 2.0 del polpettone storico littorio. La voce fuori campo recita

Grazie a lui abbiamo fondato imperi, abbiamo scoperto nuovi mondi, grazie a lui abbiamo unito popoli e luoghi lontani battaglie che sembravano impossibili e vinto battaglie che sembravano impossibili. Senza di lui non avremmo negli occhi tanta bellezza e forse non saremmo diventati quello che siamo. Lui è il Re Denaro.
Si parla della storia di Genova e i “popoli uniti” sono forse gli arabi (che al tempo avevano una cultura ben superiore alla nostra) ammazzati nelle Crociate a mero scopo di conquista e acquisizione di beni, preziosi e terre da dominare o i nativi trovati nel nuovo continente dopo scoperta dell’America e del colonialismo della Spagna, di cui i genovesi, nel “Siglo de oro” (che di nuovo nulla ci azzecca con gli abiti del giovane signore visto che, anche è durato più di un secolo netto, è datato dall’inizio del XVI secolo fino alla fine del XVIII), furono i banchieri. Nelle Americhe, sia del nord che del sud, tra il 1492 e il 1890 sono stati sterminati un numero compreso i 70 e il 115 milioni di nativi. È questo di gran lunga il più lungo e sanguinoso genocidio mai commesso nella storia umana. E davvero c’è poco da vantarsi della primogenitura della mattanza. Ditelo a quelli che ora buttano già le statue di un incolpevole Colombo in quello che fu il “Nuovo Mondo” per contestare, contestando, tutte le tragedie che l’oro, il denaro, ha causato nella loro terra, il neocolonialismo economico.
«Abbiamo unito nuovi popoli» recita lo spot. Sì, nella tragedia. Quella, appunto, del genocidio. Poi in quella della schiavitù: la tratta atlantica degli schiavi africani, il commercio di esseri umani, schiavi di origine africana attraverso l’Oceano Atlantico avviata nel XVI secolo e che è durata fino XIX secolo. Beh, almeno quest’ultima datazione coincide col costume di scena il cui fornitore viene “debitamente” citato alla fine del breve video che in un solo minuto riesce a concentrare tali e tante castronerie da far accapponare la pelle a uno studente di terza media. Un “bel” record senza dubbio. Il video è l‘apologia del denaro a dispetto di ogni etica e morale contemporanee, laiche o cattoliche che siano, non limitandosi a giustificare eventi storici agghiaccianti, ma addirittura facendone l’apologia. L’apologia del capitalismo senza limiti e senza scrupoli, quello in cui il fine (l’arricchimento di pochissimi) ha condannato a morte e/o schiavitù milioni di esseri umani. È ben oltre il revisionismo storico, è incomprensibile negazionismo. È esaltazione di un filosofia di vita che esalta l’avere e elide l’essere, che subordina gli esseri umani al denaro.
Poi, immagini che scorrono mentre quelle parole diseducative vengono recitate una dopo l’altra, lasciando sbigottito lo spettatore attento e con un minimo di conoscenza della storia. A un certo punto compare la Madonna Assunta in un affresco, utilizzata per illustrare… la “grandezza” del denaro, poi spunta la bandiera italiana al contrario, col verde verso destra e il rosso a sinistra. Cosa c’entra, poi, dritta o storta che sia, la bandiera italiana con la storia della grandezza medioevale e rinascimentale di Genova, grandezza che alla breccia di Porta Pia, oltre una ventina d’anni dopo i moti di ispirazione mazziniana e del “sacco di Genova”, era già sgretolata? E cosa c’entra Mazzini, che compare all’improvviso nel video come se c’azzeccasse qualcosa coi soldi, lui che scriveva: «Le uniche gioie pure e senza tracce di tristezza che sono state assegnate all’uomo sulla terra, sono le gioie della famiglia»? Dove per gioie, all’inizio della frase, si intendono i gioielli, i preziosi?
Il Comune, negli ultimi tempi, pare abbia una grande vocazione per l’uso a sproposito della figura di Mazzini. Qualche giorno fa il collega Giovanni Giaccone, direttore di GoodMorning Genova, faceva notare l’incomprensibile nesso (il)logico tra Liberazione e Mazzini in un tour della città propagandato dal sito Visit Genova, organizzato in occasione del 25 Aprile. Tour mazziniano organizzato, tra l’altro, a Museo del Risorgimento rigorosamente chiuso.

Quale processo mentale sconnesso dalla realtà dei fatti storici ha portato gli autori del video a comprimere tante sciocchezze storiche, iconografiche, concettuali, morali in un colpo minuto, facendo fare l’ennesima brutta figura (stavolta a mezzo social) alla Cultura del Comune di Genova, che già negli ultimi tempo non gode, come di dice “di buona stampa”?
Se tirare in mezzo Mazzini aveva la pretesa di dare una lettura pop dei concetti espressi, il tentativo non è riuscito benissimo: il pop non banalizza, ma spiega (dovrebbe spiegare) i concetti.
Il fine sembra invece quello di limitare al concetto economico una storia globale che si basa su un panorama articolato: il denaro è solo una parte del tutto. E questa lettura semplicistica banalizza la complessità del panorama della storia genovese.
Signori cari, cittadini genovesi, quanto sopra descritto non è lo spot di un filmetto a puntate in onda su Netflix, in stile Bridgtown, ma l’invito, comparso sui social ufficiali dei Musei del Comune di Genova, a una mostra co-prodotta dal Comune di Genova, che si aprirà tra poco nel palazzo (privato) della Meridiana dove verranno trasferite anche moltissime opere dei musei pubblici comunali concesse in prestito.
Sotto: il video comparso sui social del Comune
Quello che spiace è che sul video ci siano i marchi del Comune di Genova e dei Musei genovesi che verranno istintivamente abbinati a questo tipo di comunicazione che per gli ambiti culturali è agghiacciante. La cultura non si vende come le pentole a una televendita.
In che modo il Comune co-produce: ci ha messo il personale dei musei (che ha redatto tutte le schede delle opere per il prestito che deve passare anche attraverso il vaglio della Soprintendenza), ci mette i pezzi, ci mette, pare, persino la copertura assicurativa, contrariamente a quanto accade abitualmente quando si fanno prestiti. E, sempre contrariamente al “codice” non scritto dei prestiti dei pezzi d’arte valido in tutto il mondo, il Comune non ha il consueto “ristoro”, che coincide spesso con il restauro di almeno una parte delle opere prestate. Sui social, a corredo del video, c’è scritto che la mostra sarà a Palazzo Bianco e a Palazzo della Meridiana. Nel video di presentazione, nell’accozzaglia di concetti sonori e visivi che rischia di essere didatticamente e moralmente un pessimo esempio educativo firmato “Comune di Genova” e un pessimo biglietto da visita per la mostra e la città tra gli appassionati, sfilano opere dei musei di Strada Nuova, dell’Archivio Fotografico Storico e Biblioteca di Storia dell’Arte di Tursi. Alla mostra ci saranno anche pezzi dello splendido museo di Sant’Agostino ora chiuso per lavori. Nel video si vede a lungo un’opera che non compare nelle collezioni civiche, un quadro che, a spanne (l’umile giornalista per nulla titolata a dar giudizi sulle opere chiede scusa fin d’ora se sta sbagliando l’attribuzione), sembra essere di Cornelis de Wael, un Fiammingo del Seicento. Vi sapremo dire a mostra aperta di chi è e dove è normalmente esposto o conservato.

Siamo certi che la mostra sarà molto meglio del trailer. Quello grida vendetta. L’arte si può, anzi, si deve spiegare, non banalizzare pur di catturare l’attenzione di chi è più avvezzo alle serie tv che alle opere al fine di convincerlo a comprare il biglietto. Gli enti pubblici hanno il dovere di elevare la popolazione, aiutarla a capire, apprezzare, gustare, non sceneggiare la storia reale come una fiction nel tentativo di accaparrare visitatori a un’esposizione. Questo è un errore madornale, che non rende giustizia alla storia della città, che tradisce la storia della città e la sua vocazione turistico-culturale che dovrà essere uno dei canali della ripartenza anche economica. Certo che se questo è l’inizio non andremo molto lontano. Il turismo culturale, uno dei più ricchi, che più ricadute hanno sul territorio, è fatto da gente che certe cose le conosce e le capisce e un video come quello diffuso non può che far pensare a un prodotto espositivo più commerciale e di cassetta che divulgativo. Un video come quello rischia di allontanare i visitatori abituali senza attrarne di nuovi.
Quanto al concetto espresso dal video, riteniamo molto grave che un ente pubblico diffonda sulle proprie pagine social contenuti oltre che smaccatamente farlocchi (la bandiera al contrario è solo la punta dell’iceberg) anche concettualmente diseducativi a mero scopo di cassetta. La promozione culturale anche a scopo turistico è davvero un’altra cosa e bisognerebbe cominciare a farla. Sul serio.
Il provato fa quel che vuole, prendendosi successi o critiche del caso, ma se c’è di mezzo un’istituzione pubblica non si può abdicare ai valori della nostra cultura e non si possono fare errori concettuali così marchiani, nemmeno in un semplice trailer.
È l’ennesimo, incredibile, tonfo dell’immagine della Cultura genovese (questa volta, per fortuna, non mondiale) dopo la stroncatura di Xavier Salomon, prestigioso critico d’arte britannico, vicedirettore e curatore capo presso la Frick Collection di New York, sulle pagine del Burlington Magazine (il più prestigioso giornale mondiale di arte), di un articolo sul catalogo mostra “genovese” del Barocco genovese alla National Gallery di Washington (rinviata per Covid) firmato da Anna Orlando “Advisor for Arts and Cultural Heritage To the Mayor of Genova” (perché forse “consulente” pare poco), che è anche curatrice della mostra di prossima inaugurazione a Palazzo della Meridiana “Il Dio Denaro”.
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