Sale l’occupazione, ma è boom di “voucher”: ecco la nuova frontiera del precariato. Industria grande malata ligure

di Michela Serra

Voucher: nuova frontiera del precariato. È la bestia nera del lavoro secondo la Cgil e a confermare questo grido d’allarme di cui era arrivato prima l’eco sono i dati. Numeri alla mano, stilati dalla camera del lavoro, di fatto aumentano le persone che lavorano e questo è un bene. Ma se queste pagine fatte di numeri e percentuali vengono analizzate con attenzione, ci si accorgerà che non è tutto oro ciò che luccica
. Anzi. L’aumento dell’occupazione in Liguria va di pari passo con il peggioramento delle condizioni di chi lavora e è dovuto proprio all’esplosione del lavoro autonomo e dei voucher. Il merito di quei 13 mila lavoratori in più non va al Jobs Act o agli sgravi previsti dalla legge di stabilità rivolti a chi assume o trasforma collaborazioni in contratti a tempo indeterminato validi nel 2015. A aumentare sono solo i lavoratori autonomi o pseudo tali: <L’occupazione autonoma “ufficiale” a partita iva o a contratti di collaborazione a progetto è calata – spiega Marco De Silva, responsabile dell’ufficio economico Cgil Liguria – il dato parla chiaro. Nel 2015 i voucher hanno sfiorato i quattro milioni, ecco perché su scala generale l’occupazione è aumentata>. “Buoni lavoro” che, se possibile, sono una forma ancora più precaria rispetto a tutte le collaborazioni esistenti. Prevedono solo il pagamento di una prestazione: <Siamo un passo oltre e molti passi indietro – prosegue De Silva – nella precarietà “ufficiale” c’era almeno un contratto di lavoro. In questo modo non esiste neppure più un rapporto con il committente>.In porche parole i voucher eliminano qualsiasi forma di tutela e di diritti. Secondo i dati della Cgil nel 2015 gli occupati dipendenti sono uguali all’ anno precedente, le Partite Iva sono calate del 14,2%, le collaborazioni del 27,8 %, e il saldo della natalità e mortalità delle imprese in Liguria ha segnato -166, solo i voucher sono cresciuti. L’ impatto è di almeno 12 mila addetti come media annuale e quasi 60 mila i lavoratori che hanno incassato almeno un voucher. Entrando nello specifico dei comparti quello che tiene maggiormente in Liguria è anche quello che rappresenta l’80% dell’occupazione regionale: i servizi. A questo punto bisogna dividere il settore in due grandi filoni per poter tracciare una fotografia precisa: da una parte il turismo che comprende commercio, ristoranti e alberghi; dall’altra il porto e la logistica, ma senza escludere istruzione, sanità e Pubblica Amministrazione. Il turismo, com’era prevedibile cresce in tutta la Liguria, è l’unico comparto che vede un aumento del lavoro dipendente rispetto a quello autonomo. Tuttavia, secondo il segretario generale Federico Vesigna manca una vera e propria regia regionale che permetta la valorizzazione del settore. <Non c’è una programmazione – spiega – servirebbe che l’ente di piazza De Ferrari si facesse carico di attuare un programma di eventi per attrarre turisti, di qualificare i posti letto e di diversificare l’offerta. Cosa che invece non avviene. Non è un caso che il turismo cresca in province come Genova e La Spezia, dove l’offerta ha molteplici sfaccettature>. Anche il porto tiene, peccato che non si senta più parlare di infrastrutture: <Abbiamo le banchine e i fondali – prosegue Vesigna – ma il Terzo Valico? Non ne abbiamo più sentito parlare. E la Pontremolese? Stesso silenzio. Come possiamo far uscire la merce dal porto?>
Se le costruzioni vedono finalmente una luce in fondo al tunnel, la grande malata ligure è l’industria manifatturiera. Dalle stelle alle stalle, per usare un vecchio detto: dai fasti di un tempo ormai rappresenta solo il 19,4% dell’occupazione con una perdita di altri settemila dipendenti. Si è ben al di sotto del livello di guardia e su questo fronte deve intervenire la Regione: <Ci serve una politica che si concentri sullo sviluppo economico – dice Vesigna – la Regione ha concepito il “Growth Act”, ma dentro a quel provvedimento non c’è nulla. Non basta certo la cancellazione dell’Irap a attrarre imprese che investano sul territorio. Vanno dove ci sono infrastrutture, servizi e trasporti adeguati>. Un ultimo dato che fa pensare rispetto al rientro capitale dall’estero: la Ligura è l’unica Regione in Italia dove questi capitali non sono di professionisti o di imprenditori, ma di pensionati. Insomma, c’è poco da stare allegri.
cgil camera del lavoro

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