Il ristorante nell’antico bordello chiuso dalla Merlin, in vico del Fieno. “Bakari” lascia il posto a “I Cuochi”
La memoria di una città si diluisce nel tempo, mentre piano piano cambiano le cose e le abitudini di chi la vive. Chi arriva dopo spalanca gli occhi incredulo di fronte a quello che è stato quando per caso riaffiora il ricordo. I grandi avvenimenti restano nella storia, il resto sbiadisce piano piano stemperandosi nella vita quotidiana, nel via vai della gente, nelle aziende che aprono e chiudono, nella vocazione di certe strade che a volte sono luogo di svago, altre volte un posto dove abitare, altre ancora la sede di affari. Una delle cose dimenticate di cui vico del Fieno potrebbe raccontare, è, come direbbe Ivano Fossati, ” Il dai e dai delle meretrici”. Non che le signorine siano sparite dal centro storico, anzi. Dal 1958, tuttavia, la legge Merlin ha chiuso le case d’appuntamento legali. In vico del Fieno, uno dei carruggi che dal Carlo Felice scendono verso via Luccoli, ce n’era una. Non era uno dei bordelli d’alto bordo, ma nemmeno un lupanare malfamato. Era una una delle case di tolleranza che frequentavano i ragazzi di buona famiglia, un po’ come quella dal soffitto viola di cui parla Gino Paoli nella canzone “Il cielo in una stanza” che si trovava, tra l’altro, non lontano da qui, in un vicolo vicino a Porta Soprana. <Se questi muri potessero parlare…> scherza il cuoco Julian Mane, che con la collega Maria ha aperto ieri il locale “I Cuochi”, rilevando il celebre “Bakari”. <Si possono immaginare le donnine in fila sulla scala liberty ad aspettare ed allettare la clientela seduta a far flanella nel salone al piano inferiore – continua Julian -. Coloro che non volevano essere visti potevano entrare dall’altro ingresso, al piano di sopra>. Il nuovo titolare racconta che, dopo l’abolizione delle case chiuse, i locali furono rilevati da un ex uomo di regime che ne fece un ristorante e, al piano di sopra, una bisca clandestina. Quindi, alla fine degli anni Settanta, un ignegnere che aveva lavorato alla diga di Kariba, in Africa, rilevò l’antico bordello per realizzare uno dei suoi sogni e farne un punto di ristorazione d’eccellenza. Anagrammò la parola Kariba e chiamò il ristorante “Bakari” decidendo di innovare non solo la sistemazione dei locali, ma anche il menu, proponendo piatti che precorrevano la cucina più attuale. Nel 1997, l’ingegnere-chef, che aveva ormai raggiunto un’età avanzata, vendette a Flavio e Francesca, che già erano stati clienti e si erano innamorati del luogo. I due giovani mantennero il nome “Bakari” e continuarono a la loro attività per diciotto anni, fino a un paio di mesi fa, quando i due cuochi Julian e Maria hanno deciso di rilevarla. Hanno aperto ieri, <dopo due mesi di restyling pazzo e disperatissimo> dice Julian. Vogliamo continuare la storia del locale mantenendo la stessa passione e la stessa serietà di chi lo ha gestito prima. Il nuovo marchio ,”I Cuochi”, parla di un’altra storia, quella, appunto, di Julian (che ha lavorato anche al Soho) e Maria. Particolarità del nuovo ristorante: tutto viene fatto in casa, come è sempre stato nella tradizione di Bakari. <È una cucina a base di pesce che, però, non dimentica i gusti dei “carnivori” e dei vegetariani – conclude Julian -. Se questi muri potessero parlare… vorremmo che potessero raccontare anche di noi>.
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