Storia 

Quando il vescovo Siro liberò Genova dall’orribile basilisco

In via S. Siro che congiunge via Cairoli a via S. Luca all’esterno di un palazzo barocco si trova un antico bassorilievo probabilmente fatto murare dal doge Giovanni De Murta nel 1347 che cita: “Qui si trova il pozzo dal quale il beatissimo vescovo Siro fece uscire l’orribile serpente basilisco”.

Nel bassorilievo è scolpita l’immagine del santo che tiene sotto i suoi piedi una bizzarra creatura con il corpo di serpente e la testa di gallo. Questo strano animale si trova anche sulla statua in cima al timpano della facciata neoclassica e ci introduce alla più incredibile e famosa leggenda genovese quella, appunto, del basilisco.

Prima di procedere con la legenda e le sue possibili spiegazioni è giusto soffermarsi sulla natura di questo animale. Si tratta di una specie “fantastica” ma che ritornava con assoluta certezza nei bestiari medievali come l’ippogrifo, la chimera, il grifone e tanti altri ancora. La loro esistenza era avvalorata da leggende e testi antichi o ritrovamento di ossa interpretato con grande fantasia. Tra questi animali fantastici c’era, appunto, il basilisco.

Si trattava come spesso accadeva per queste creature di un animale che univa le caratteristiche di altri due realmente esistenti, Pietro Piccardo nel suo Bestiario lo descrive così: “… Una bestia con la testa, il collo e il petto di un gallo, il corpo di dietro è quello come di un serpente. La sua origine deriverebbe, sempre secondo Piccardo, dalla deposizione di un uovo da parte di un gallo appena compiuti i sette anni di età e lo stesso uovo sarebbe poi covato da un rospo. Appena nato il basilisco correrebbe in cerca di un vecchio crepaccio affinchè nessuno lo possa vedere.” Per quanto di dimensioni modeste il basilisco è letale per tutti gli animali e anche per l’uomo, qualsiasi forma di vita incontri lo sguardo del basilisco muore, anche l’uomo. L’unico animale che lo può contrastare è la donnola mentre il canto del gallo è letale per la sua vita. La legenda narra che Alessandro Magno nei suoi lunghi viaggi incontrò il favoloso animale e riuscì a guardarlo senza morire osservandolo attraverso il riflesso degli scudi dei suoi soldati.

Veniamo adesso alla leggenda che ci arriva dal vescovo di Genova Oberto vissuto poco prima dell’XI secolo ma che risale ai primordi del cristianesimo e ha come protagonista il vescovo di Genova di allora, Siro.

“A quei tempi – narra la leggenda – il popolo era afflitto dall’alito di un fortissimo serpente che dal volgo è definito Basilisco. Questo serpente era annidato in un pozzo non lontano dalla basilica dei dodici apostoli (ora S. Siro). Poiché accadeva spesso che molti venissero uccisi dall’alito di questo serpente, il Santo Sacerdote preparata la gente con esortazioni divine e armi spirituali restò con il popolo, affinchè questo con digiuni e preghiere e pianti, per tre giorni nella stessa maniera del Sacerdote supplicasse il Signore Gesù Cristo.”

Per farla breve, dopo questa fase di purificazione il Santo si fece portare dal pozzo per compiere un vero e proprio esorcismo. Esortato a uscire il mostro non potè resistere alle intimazioni di Siro e una volta sbucato dal pozzo si infilò in un secchio. Qui la popolazione genovese potè osservare l’orrenda creatura del mostro dopodichè Siro esortò il basilisco ad andarsene e questo fuggì precipitandosi in mare.

Secondo gli storici questa leggenda sarebbe la trasposizione di un evento storico reale come quello della possibile infiltrazione di un’eresia nel tessuto popolare della città da poco convertito al cristianesimo. Il soffio mortale sarebbe proprio la nefasta parola dell’eresia che “ucciderebbe” l’anima delle persone.

Lo stesso serpente, utilizzato nei riti gnostici come animale sacro, potrebbe avvalorare l’ipotesi che Siro, in realtà, non scacciò un mostro ma allontanò un’eresia che si stava diffondendo anche a Genova. La zona non lontana dalle Vigne e da Luccoli era nel passato considerata sacra dai pagani e quindi non è da escludere che in quel periodo Siro abbia avuto il suo bel da fare a fronteggiare antiche religioni e nuove eresie che arrivavano da oriente. Resta il mistero delle uccisioni. Si propende a considerare l’ipotesi come una metafora ma non si può escludere del tutto l’ipotesi di sacrifici umani che spiegherebbe la forza con cui questa leggenda è rimasta ben impressa nella memoria genovese e nella storia.

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