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La disperata telefonata del padre di Scagni alla Polizia il giorno dell’omicidio di Alice: «E se mi taglia la gola?» – AUDIO

In una registrazione audio della telefonata tra il padre di Alberto Scagni e un agente di polizia della centrale operativa, fatta poche ore prima dell’omicidio, il 1º maggio scorso, il padre di quello che sarebbe diventato a breve l’omicida della sorella, Alice, chiede aiuto dicendo di aver appena ricevuto minacce telefoniche dal figlio. L’agente gli risponde che senza denuncia non si può intervenire e gli consiglia di presentarla l’indomani. L’uomo gli chiede se può andare a farla subito e l’operatore gli risponde di non sapere se gli uffici siano aperti nel giorno festivo

Il padre di Alberto e Alice spiega che il giorno prima il trentaquattrenne aveva dato fuoco alla porta di sua suocera, l’anziana madre della moglie e che per questo è stata presentata denuncia. Il poliziotto gli chiede se lui abbia mai fatto denuncia e l’uomo gli risponde di no, che la situazione è precipitata recentemente e che per l’indomani la famiglia aveva un appuntamento col servizio di Salute mentale della Asl. Aggiunge che il figlio aveva ricevuto 15mila euro in tre mesi, ma vuole ancora soldi e che ha minacciato che se non li avrà andrà sotto casa della sorella e del genero. Il poliziotto gli chiede l’indirizzo di Alice, lui riesce appena a dire la via. Si sente che è spaventato, disperato. Si capisce che presagisce qualcosa di tremendo. Il poliziotto dice che se Alberto non è sotto casa non si può fare nulla senza che sia stata già presentata una denuncia. «Se ci chiama sua figlia le diciamo la stessa cosa» aggiunge.

Poco prima della chiamata al 112 che si sente nell’audio, Alberto Scagni aveva telefonato al padre chiedendo altri quattrini: «Se non ho i soldi sul conto entro cinque minuti, Gianluca (il marito di Alice) e tua figlia lo sai dove sono? Lo sai dove sono?». Il padre aveva chiaramente inteso la minaccia e aveva telefonato al 112 che gli aveva passato la centrale della Polizia, con cui aveva parlato quattordici minuti nel tentativo di ottenere un intervento immediato.

L’agente di Polizia, nel corso della chiamata, si consulta col proprio capoturno e risponde di nuovo all’uomo che chiede aiuto. Gli dice ancora che senza denuncia la Polizia non può intervenire in quel momento. Gli consiglia di fare denuncia l’indomani, che non è giorno festivo, al commissariato o dai Carabinieri. Dopo avergli chiesto se il figlio abbia le chiavi di casa, si raccomanda di non aprirgli la porta e di chiamare subito se dovesse presentarsi, che gli manderanno “una macchina”, cioè una volante. Il padre dei fratelli Scagni gli chiede comunque un intervento sul momento, ma l’agente di Polizia continua a ripetere che serve prima la denuncia e di andare l’indomani a farla. «E se mi taglia la gola?» chiede l’uomo. Aveva capito che anche solo uscire di casa rappresentava un rischio, che il figlio avrebbe potuto fare a qualsiasi suo familiare quello che la stessa sera ha poi fatto alla sorella.

Da tempo la famiglia Scagni, assistita dall’avvocato Fabio Anselmo, chiedeva che la telefonata fosse resa pubblica.

La tragedia si è verificata poche ore dopo questa conversazione. Scagni ha ucciso la sorella sotto casa, con 24 coltellate e ora il pubblico ministero Paola Crispo contesta al 43enne disoccupato, giudicato dal perito del gip semi infermo di mente, ma in grado di stare in giudizio, l’omicidio premeditato pluriaggravato e il porto abusivo di armi.

Dopo l’esposto dei genitori di Scagni, l’agente di polizia che quel giorno ha risposto al telefono della centrale e il suo capoturno sono stati indagati per le presunte omissioni insieme a una dottoressa del Servizio di Salute Mentale. Il pm Paola Crispo li ha interrogati e dovrà decidere se chiedere di archiviare (se emergerà che hanno agito secondo la legge e le procedure) o chiedere di rinviarli a giudizio.

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