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Salvatore Cucé, vittima dell’esplosione nel cantiere del Terzo Valico: uno dei tanti figli del sud costretti a spostarsi al nord per lavorare

Salvatore Cucè era un trasfertista. Per lavorare nel cantiere di Voltaggio per l’azienda Seli era partito da Roccabernarda, un comune di poco più di tremila abitanti in provincia di Crotone, in Calabria, che ora lo piange. Un’amica su Facebook: «Sasà, questa tua terra maledetta ti ha costretto a partire per lavorare»

Salvatore Cucè, aveva 34 anni, e veniva da un comune agricolo dell’alto Marchesato di Crotone, quello di Roccabernarda, che oggi lo piange: «Restiamo scossi ed increduli davanti alla notizia che mai nessuno vorrebbe sentire: il nostro giovane compaesano Salvatore Cucè, mentre svolgeva il suo lavoro in provincia di Alessandria, ha perso la vita – si legge nella pagina Facebook dell’amministrazione comunale -. Ci stringiamo attorno ai familiari in questi momenti di angoscia assoluta dove tutto diventa insignificante davanti alla scomparsa di questa giovane vita. Un pensiero va anche al nostro Consigliere Fabio Vaccaro, cugino di Salvatore. Il Sindaco, l’Amministrazione Comunale, il Consiglio Comunale e L’intera popolazione di Roccabernarda sono vicini alla Famiglia Cucè».

Salvatore era salito al nord, lasciando la famiglia e gli amici, per lavorare. Proprio come fanno da generazioni i figli del Meridione, anche i tanti che nel secolo scorso hanno popolato i quartieri genovesi, arrivati qui per cercare lavoro sulle navi e in porto, ma anche nella scuola, nelle Ferrovie, nella pubblica amministrazione e nelle Poste. Un fenomeno che oggi è cambiato, che vale per gli studi universitari, ma anche per i grandi cantieri aperti sopra a Roma.

Cambiano le modalità, ma non cambia il senso: dal Sud si deve andare via per lavorare. E a volte non si torna più, ma non perché si è costruita una famiglia altrove.

Di questo parla un post di dolore e di denuncia di un’amica, Sonia Medaglia, che tagga Salvatore Cucé su Facebook: «Oggi è un giorno assai triste, grigio. L’intera comunità di Roccabernarda rimane bloccata in un terribile incubo a interrogarsi sul senso della vita diventa quasi doveroso. Tu, Salvatore Cucè , ragazzo dal cuore grande, buono come il pane, stavi lavorando per crearti un futuro. E oggi te ne sei andato come evapora una nube di fumo. Non ci sono parole, solo tanta infinita tristezza e tanta rabbia. E rifletto. Sulla vita, sulle volte che rimandiamo le cose perché non ci sono abbastanza soldi, perché bisogna lavorare per avere soldi per poter poi spendere in quel tempo libero che ci si è guadagnati. Verso dove stiamo andando umani? Lavorare per vivere, lavorare e morire. E la morte poi arriva, senza bussare, ci ricorda che tutte quelle cose che vengono rimandate rimangono delle occasioni perdute e lentamente si inizia a morire ancor prima di essere morti. E tu Salvatore lavoravi per crearti il tuo avvenire e immagino tutto quello che hai potuto sacrificare nel nome di un futuro migliore. Mi sale un boato di rabbia dalle viscere dello stomaco. È inaccettabile morire così, per un lavoro. Inaccettabile. La terra ti sia lieve, ti abbiano gli Dei in grazia. E perdona Sasà questa tua terra maledetta che ti ha costretto a partire per lavorare, una terra che non riesce a dare lavoro e possibilità di crescita. Che diventa colpevole per tutti quei figli che se ne vanno, e alcuni, purtroppo, non ritornano nemmeno più. Perdonaci Salvatore. R.I.P.».

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