Alluvione del 1970: la storia, le storie, la situazione 50 anni dopo la tragedia
In 24 ore, tra il 7 e l’8 ottobre 1970, caddero 948 millimetri d’acqua dal cielo, un record tutt’ora imbattuto. Il disastro cominciò dal ponente della città. Alla fine si contarono 43 morti (tra cui 8 dispersi i cui corpi mai più furono ritrovati) e 2mila sfollati
“Acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti”, “acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti”, “acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte”, acqua “nera di malasorte che ammazza e passa oltre”, “nera di falde amare che passano le bare”. Così, nella canzone “Dolcenera”, Fabrizio De Andrè raccontò come meglio non si potrebbe l’alluvione del 1970: 43 morti (35 salme ritrovate, 8 persone disperse che non si ritrovarono mai più), 2mila sfollati, macchine ammassate, ponti crollati, bare dei cimiteri portate via dall’acqua.
La sera del 7 ottobre quello che oggi chiamiamo un temporale autorigenerante si abbatté su Voltri e il Leira sfondò argini e muri e trascinò ogni cosa in mare, insieme alle vittime della sua furia. A mezzanotte l’inferno si scatenò in Valpolcevera, dove non fece morti, ma non risparmiò il disastro. Il giorno dopo toccò alla Valbisagno dove il Bisagno portò morte e distruzione. Si riempì anche il locale della rotativa del Secolo XIX all’epoca sotto il livello strada in via Vernazza, tanto che il giornale il giorno dopo non poté uscire in edicola. Si allagò anche il centro storico sopra Caricamento. Subito i genovesi si rimboccarono le maniche per liberare la città dal fango. Erano soprattutto giovani gli “angeli del fango” che hanno riempito le strade e le piazze con pale e cuffe.

Non era la prima volta che la melma copriva la città. Nel 1822 George Byron, che si trovava ad Albaro, scrisse all’amica Augusta Leigh: <Tutto è stato così improvviso che non c’è stato tempo di prepararsi e mettersi in salvo (da parte della popolazione, lui abitava in alto) magari sulla cima della collina: la strada era diventata una specie di cascata impraticabile, un bambino è annegato a pochi metri dalla porta di casa sua, in una zona dove l’acqua in genere è una rarità>.
Il 6 settembre 1746 la piena del Polcevera trascinò via numerosi soldati dell’esercito austriaco accampato nel letto, asciutto prima delle piogge torrenziali, del Polcevera, tra Rivarolo e Bolzaneto. Era lo stesso esercito austro piemontese, comandato dal generale Antoniotto Botta Adorno che fu cacciato in seguito all’insurrezione popolare tre mesi più tardi, quella che prese il via dal del 5 – 10 dicembre 1746, che prese avvio (secondo la leggenda tramandata) con l’episodio della sassata tirata dal Balilla.
In occasione della ricorrenza dei 50 anni dell’alluvione di Genova del 7-8 ottobre 1970, l’Ordine Regionale dei Geologi della Liguria, in collaborazione con la Sigea (Società Italiana di Geologia Ambientale sez. Liguria) e il Corso di Studi in Scienze Geologiche del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita dell’Università di Genova, hanno organizzato una visita del tratto terminale del Torrente Bisagno per ripercorrere i luoghi dell’alluvione.
<L’alluvione che nel 1970 colpì la città di Genova è ricordato tra gli eventi più calamitosi verificatisi in Liguria e in Italia – ha commentato Carlo Civelli, presidente Ordine dei Geologi della Liguria -. Rievocare quell’evento rimane doveroso per il ricordo delle vittime e dei danni subiti dalla città, non si deve però rimanere confinati alla sola commemorazione, dobbiamo imparare dagli eventi passati per poter affrontare il futuro e gestire meglio il territorio. Pochi giorni fa il nostro territorio è stato nuovamente martoriato da alluvioni e frane che hanno colpito in particolare il ponente della Regione. Questi eventi si verificano con frequenza sempre maggiore e colpiscono pesantemente un territorio come quello ligure che è caratterizzato da fragilità geologiche e geomorfologiche ma anche da pesanti eredità di urbanizzazioni poco rispettose dell’ambiente se non in alcuni casi incoscienti. Siamo sempre col fiato corto all’inseguimento dell’emergenza del momento con interventi che doverosamente vengono eseguiti in massima urgenza per ovviare ai disagi della popolazione, ma che non essendo pianificati e programmati rappresentano in molti casi solo un rattoppo ad un problema più vasto e una dispersione di energie e risorse economiche togliendole di fatto alla fase di prevenzione. Occorre quindi reperire le risorse ed agire preventivamente in tempo di pace pianificando gli interventi a partire dalle situazioni maggiormente a rischio ed incentivando economicamente non solo gli enti pubblici ma anche i privati per eseguire interventi di consolidamento e manutenzione del territorio>.
Un’alluvione che è segno indelebile degli errori commessi nell’urbanizzazione del territorio, come ricorda Guido Paliaga, presidente Sigea Liguria: “la mancanza delle necessarie attenzioni e valutazioni dei fenomeni che si erano già verificati in un passato remoto ma di cui si conservano informazioni precise, ovvero l’alluvione del 1822, ha portato al restringimento dell’alveo del torrente ad oltre un terzo della sua larghezza originaria e all’impermeabilizzazione e saturazione di tutti gli spazi pianeggianti un tempo disponibili alle esondazioni. L’errato dimensionamento della copertura del tratto terminale del Bisagno realizzata negli anni ‘20 ha quindi giocato un ruolo chiave nei successivi eventi alluvionali: quello del 1970, del 1992, del 2011 e del 2014.
Le opere strutturali attualmente in esecuzione renderanno la capacità della copertura, grazie anche allo scolmatore, adeguata al deflusso che si è verificato durante quegli eventi, ma è solo attraverso un’attenta opera di manutenzione dell’intero bacino idrografico che si può ottenere una efficace mitigazione del rischio idrogeologico, impedendo che grandi quantità di detriti si aggiungano all’acqua piovana alimentate da frane ed erosione.
Al percorso itinerante sui luoghi dell’alluvione del 1970 hanno partecipato anche gli studenti del primo anno della Laurea Magistrale in Scienze Geologiche, nell’ambito delle attività didattiche dell’insegnamento di “Pericolosità Geo-idrologica”. <Si tratta di un originale urban geomorphological trip articolato in 7 tappe, – ha spiegato Francesco Faccini, di Unige – tra la confluenza del Torrente Fereggiano e la foce del Torrente Bisagno, finalizzato a fornire l’immediata comprensione delle dinamiche alluvionali avvenute negli ultimi 200 anni, delle grandi modificazioni del territorio per cause antropiche e delle attività per la mitigazione del rischio.
Il Corso di Studi in Scienze Geologiche dell’Università di Genova ritiene strategico, oltre ai necessari interventi strutturali ed alla delocalizzazione di elementi a rischio, procedere con l’analisi e il monitoraggio del territorio quale elemento fondamentale per le attività di prevenzione e mitigazione delle pericolosità e dei rischi naturali. Per questo motivo, il Corso di Studi in Scienze Geologiche propone un curriculum di Laurea Magistrale volto a fornire particolari competenze sull’identificazione e mitigazione dei Rischi geologici e ambientali (frane, alluvioni, eventi sismici, erosione costiera, inquinamento del sottosuolo e delle acque sotterranee) per una corretta gestione del territorio>.
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