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rubrica Discoclub

A CURA DI DIEGO CURCIO

LE RECENSIONI

LEONARD COHEN – You Want It Darker

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In questo disco il manifestarsi della voce di Cohen nella prima traccia, sopra un lugubre coro maschile, è un colpo al cuore (e anche ai woofer). Il tono della voce sembra provenire dall’aldilà, un luogo che il Cohen ottantaduenne non sembra temere, ma che esorcizza con brani che sottolineano l’inevitabilità della morte e tracciano bilanci, tra religione e passioni ormai lontane; il disco ha rischiato di non essere realizzato, proprio per la salute imperfetta del cantautore e poeta canadese e quella di Patrick Leonard, suo importante collaboratore negli ultimi dischi. Per fortuna nostra, l’aiuto del figlio Adam e di qualche presidio sanitario, come ci racconta lo stesso artista nelle note, ha permesso l’uscita di You Want It Darker. Il debole ritmo, e il consueto fraseggio vocale dell’ultimo periodo, rimangono la cifra stilistica anche qui, così come l’accompagnamento vocale, diviso tra le consuete coriste e il coro di una sinagoga canadese di soli uomini. E’ facile considerare il disco un testamento, o gridare al capolavoro, come si fa ormai senza ragionare quando artisti di questo calibro pubblicano una novità, ma l’importante è ascoltare ancora una volta, godendo parola per parola, il percorso di un poeta che continua ad affascinarci e a stupirci dai tempi lontani di Songs of Leonard Cohen fino ad ora. Fausto Meirana

ZOE PIA – Shardana

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“Shardana”, ovvero “il popolo delle isole che stanno in mezzo”: così gli antichi egizi chiamavano la Sardegna, gente che non venne mai a patti con i faraoni. Ricorda poi Paolo Fresu nelle note che un grande musicista ha detto che tradizione significa mantenere accese le scintille, non venerare la cenere gelida. Ed ecco allora un lavoro dove la clarinettista sarda Zoe Pia, impegnata anche alle ataviche launeddas che si suonano con la respirazione circolare mette assieme una vertigine assoluta di incroci tra tradizione arcaica e contemporaneità. Tra tempi dispari, ricordi di melodie popolari, impennate jazz-rock, e molto altro ancora. Accanto ha tastiere, violino, batteria, perfino una tuba, sul tutto ha innestato lacerti di “soundscape”, di paesaggio sonoro sardo, perché, racconta Pia, nulla si capisce meglio che prendendone le distanze (fisiche), come ha fatto lei per i suoi studi musicali: e dunque voci, campane, mamuthones, fisarmoniche ed altro, compreso un magnifico ricordo della voce d’angelo di Andrea Parodi. Il risultato è un disco arcano e futuribile, per nulla ostico, e che ad ogni ascolto rivela tasselli nascosti ed incantati. Guido Festinese

DONNY MCCASLIN – Beyond Now

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Da lungo tempo collaboratore di Maria Schneider (nel 2015 il suo solo in “Arbiters of Evolution” da ”The Thompson Fields” è stato nominato ai Grammy) e del trombettista Dave Douglas, il cinquantenne sassofonista californiano è improvvisamente assurto alla notorietà per aver partecipato all’ultimo album di David Bowie, “Blackstar”, insieme al batterista Mark Guiliana, al bassista Tim Lefebvre e al tastierista Jason Lindner. Trattasi di quartetto stabible, che con “Beyond Now” arriva al suo terzo disco, proponendo una musica concretamente inedita, in cui confluiscono l’elettronica, il jazz e il rock. E rock in questo caso vuol dire inevitabilmente David Bowie (cui il disco è anche dedicato): due i brani presenti, ”A Small Plot of Land” da “1.Outside”, il disco che segnava il ritorno alla collaborazione con Brian Eno nel 1995 e “Warszawa” da “Low”, il primo disco della trilogia berlinese. Se nel primo si rimpiange un poco la batteria di Joey Baron dell’originale e molto la voce del Duca (benché Jeff Taylor esegua il suo arduo incarico decorosamente), nel secondo la rilettura di “Warszawa” di un paio di minuti più lunga convince decisamente. Gli altri brani a firma McCaslin si collocano all’intersezione dei mondi musicali di cui sopra, ma fortunatamente senza mai scadere in una fusion che suonerebbe oggi e ormai del tutto anacronistica. E superando l’ostacolo di un certo jazz (mi riferisco soprattutto a E.S.T. e ai Bad Plus) che riprende alcuni stilemi rock, ma senza risolverli né in un senso, né in un altro. Se il titolo, “Beyond Now”, voleva essere anche un manifesto programmatico, obiettivo decisamente raggiunto. Danilo Di Termini

BONE MACHINE – Sotto questo cielo nero

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Surf marcio e degenerato, punk-hc italiano, reminiscenze blues e western, un po’ di beat e persino un pizzico di geghegè. Non è facile spiegare in due parole la musica dei Bone Machine, un terzetto di selvaggi cresciuto a pane e rock’n’roll sin dal “lontano” 1999, che, da qualche settimana, ha sfornato un nuovo disco pubblicato dalla solita Area Pirata. “Sotto questo cielo nero” è una raccolta di tredici canzoni spesse e catarrose, in bilico tra rabbia, malinconia e disperazione. L’apertura è un manifesto: “Rock’n’roll o morte”, con il suo ritornello irresistibile, suona come una vera e propria chiamata alle armi. Il ritmo non cala neppure un secondo con la successiva “Noi siamo zombie” e si acquieta soltanto con l’ottimo strumentale surf di “Corsa all’inferno”. Un brano che funziona come uno spartiacque per il disco, visto che i pezzi successivi (anche se non tutti) rallentano leggermente la furia, mettendo in luce la vena blues della band. L’amore per Tom Waits non è un segreto (come dimostra anche il nome del gruppo) ma il timbro vocale di Jack Cortese, il cantante-chitarrista, più che un semplice omaggio al cantautore di Pomona sembra il frutto di una predisposizione naturale. Siamo in un territorio di disperati di provincia, alcolizzati e rocker del far west. Una di quelle dimensioni tanto care ai perdenti del rock’n’roll che da sempre costellano la mitologia di questo genere musicale. “Sotto questo cielo nero” è un disco oscuro e divertente allo stesso tempo, la colonna sonora perfetta per rimorchiare zombie in una balera. Diego Curcio

IL DIARIO

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Diario del 27 ottobre 2014
Ieri era domenica, ma Ottavio ci ha provato. Alle 14:43 ha chiamato, ovviamente nessuno ha risposto, questa volta non perché avevamo letto il suo nome sul display del telefono, ma perché in negozio non c’era nessuno. Oggi quindi passa di persona. Quando torno al pomeriggio alle 14:45, mi stupisco di vedere Dario che parla al telefonino nei portici di fronte, poi arrivo davanti al negozio e capisco perché: Ottavio è già lì, “Ciao Gian, Dario è passato qualche minuto fa, ma ha detto di non avere le chiavi”, infingardo, traditore, si merita la punizione di una giornata intera nel reparto usato. Il rompipalle n.1 telefonico mi viene dietro appena sollevo la serranda e si trasforma nel rompipalle n.1 assoluto. Attacca con la solita solfa, “La colpa non è di Dio, la colpa è dell’uomo. Me lo hai detto un giorno tu”, mi guardo attorno per vedere se c’è qualcun altro, no, sono solo, “Io?”, riparte imperterrito, “Sì, l’alluvione è venuta per tutte le costruzioni degli anni passati, e la disoccupazione è dovuta all’uomo, mica a Dio. Lo so che tu lo sai, perché sei una persona credente. Credi in Dio e nella Madonna”. Questa poi, è la prima volta che me lo dicono; la butto sullo scherzo, “Dio, quello dei Black Sabbath, e Madonna Ciccone? No guarda non sono tra i miei preferiti”. Un risultato lo ottengo, mi guarda come se fossi scemo, e se ne va.
I primi clienti del mattino erano stati una coppia che vedo spesso sul 49 e che mostrano di aver patito alquanto gli eccessi giovanili, il cervello non gira sempre dalla parte giusta. Si affaccia lei, bionda e corpulenta, e lui, magro e butterato, come al solito le si appollaia sulle possenti spalle, “Avete un cd di Eather Parisi?” (ve l’ho detto che non sono molto in bolla), “No”, “E il tempo delle mele?”. Ecco, con questa sono tre, sì, è la terza volta che mi chiedono quest’accoppiata e inevitabilmente il cliente presente, questa volta Nicola, conclude, “Forse volevano Il tempo delle pere”.
Seguono tre signore. La prima ha ordinato un cd di Mark Knopfler, “Sono venuta a ritirarlo, quanto è?”, “9,90 €” e sto per dirle “Mi dia nove”, ma mi blocca una sua esclamazione, “Accidenti!”, “In che senso?”, “Mi aveva detto otto”. In un attimo lo sconto svanisce, “No, sono 9 e 90”.
La seconda cerca a lungo in negozio qualcosa che non trova, “Dica, posso aiutarla?”, “Cerco un cd di Rod Stewart, A Spanner in the Works”, “Ha guardato a posto? Mi sembra che ci sia”, “Sì, ma non l’ho trovato”, “Mi sembra strano, andiamo a vedere”. Sono quasi sicuro che ci sia e infatti c’è, “Eccolo”, e lei ineffabile, “Ah, nella S, io lo cercavo nella R di Rod”, “Non tutti sono così in confidenza da chiamarlo semplicemente Rod, come Vasco per Rossi”. Ad ogni modo lo compera e un altro lungodegente ci lascia dopo diciannove anni di gloriosa presenza negli scaffali.
La terza è la più sorprendente. Prende tre biglietti per il concerto dei Red Wine, poi chiede il permesso di dare un’occhiata ai dischi, “Sa, noi venivamo a comprare qui negli anni ’70, i nostri preferiti erano Crosby, Stills, Nash & Young. A proposito, e mi indica l’ultimo cd di Neil Young, una mia amica è stata la sua ragazza”, “E’ americana?”, “No, di Roma”, ed ecco la rivelazione che deluderà milioni di fans del cantautore canadese, con un sorrisino allusivo conclude, “Ha detto che non era un granché”.
Dramma sfiorato alla sera. Urla beluine all’esterno, sono due ragazzi “Ti spacco la faccia, fai tutto questo casino per cinque euro” dice un italiano, gli risponde un magrebino. Non afferro bene quello che dice e il motivo del contendere. L’unica cosa che capisco è la conclusione, “Se non fosse che sei mio amico, ti taglierei la gola”. Eh no, è. Proprio davanti alla vetrina, magari me la sporcano di sangue!!!

LE PROSSIME USCITE

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Domani
BON JOVI – THIS HOUSE IS NOT FOR SALE
DAVID CROSBY – LIGHTHOUSE
CONOR OBERST – RUMINATIONS
ANSWER, THE SOLAS
ARNALDS OLAFUR ISLAND SONGS
DR. JOHN THE MUSICAL MOJO DELUXE
EMPIRE OF THE SUN TWO VINES
MADNESS CAN’T TOUCH US NOW
POP GROUP THE HONEYMOON ON MARS
POP IGGY POST POP DEPRESSION: LIVE
SAVORETTI JACK SLEEP NO MORE
TESTAMENT BROTHERHOOD OF THE SNAKE

11 NOVEMBRE
PINK FLOYD – The Early Years 1965-1972

LA CLASSIFICA DELLA SETTIMANA

1 PAOLO CONTE – AMAZING GAME
2 LEONARD COHEN – YOU WANT IT DARKER
3 SUZANNE VEGA – LOVER, BELOVED: CARSON MCCULLER
4 BON IVER – 22, A MILLION
5 GREEN DAY – REVOLUTION RADIO
6 NICK CAVE & THE BAD SEEDS – SKELETON TREE
7 MILES DAVIS – BOOTLEG BOX 5 – FREEDOM JAZZ DANCE
8 EX-OTAGO – MARASSI
9 RIVERSIDE – EYE OF THE SOUNDSCAPE
10 TIM BUCKLEY – LADY, GIVE ME YOUR KEY: THE UNISSUED 1967 SOLO ACOUSTIC SESSION

 

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