Disco Club: recensioni, consigli, classifiche e novità. La rubrica di un dischivendolo/28 aprile 2016
A CURA DI DIEGO CURCIO
LE RECENSIONI
ORCHESTRA BAILAM – Taverne, Café Amán e Tekés
Meno male che la Bailam c’è, verrebbe voglia di dire, sbeffeggiando un po’ un celebre slogan politico-affettivo demenziale. Meno male che ce l’abbiamo noi, a Genova, che un tempo fu porta del Mediterraneo, ed ora più che nobile portone è una bascula passagatti per randagi disillusi. Loro, da decenni, con un’ostinazione motivata che da sola dovrebbe garantire qualche spicciolo di eternità e soldini per buon vivere, portano avanti un discorso storico musicale che, sulla bilancia degli spessori culturali, pesa come piombo. Loro sono la memoria che, in zona mediorientale, per secoli la gente s’è incontrata, mescolata, scambiata esperienze. A volte sono stati cazzotti e lacrime, spesso ricettari quasi in comune, parole che fluttuavano come semenze in volo da una lingua all’altra, e tanto altro ancora. Ecco allora che Taverne, Café Amán e Tekés ci racconta ancora una volta la storia di città dove era ben facile trovare da bere e da gustarsi la vita, di transiti di ebrei sefarditi, greci, egiziani, armeni, e via citando. Una bella bastonata sulla testa fragile della tolleranza arrivò con la guerra turco- greca del 1922 (peraltro, guarda caso, la stessa data d’inizio del regime del Mascellone in Italia), tant’è che ne scaturirono generazioni di dropouts greci che per i loro conterranei erano troppo turchi, e per i turchi troppo greci, e s’inventarono il loro blues, il Rebetiko. Il Quintetto è in gran forma, plettri e fiati e pelli ad inseguire belle contorsioni sonore da danza del ventre – e oltre – sono stati lustrati a dovere. Non c’è il Trallalero, come nel precedente Galata, ma è garantita comunque un bella schiera di ospiti eccellenti, a impreziosire di dettagli vocali e strumentali il tutto. E i testi tradotti in italiano aiutano ad entrare nello spirito, se non nella lettera. Guido Festinese
ERIC BIBB AND NORTH COUNTRY FAR WITH DANNY THOMPSON – The Happiest Man In The World
E’ ben vero che la somma aritmetica di molti fattori positivi non garantisce di per sé risultati d’eccellenza, com’è ben dimostrato da tanti “flop” di supergruppi nella storia delle musiche popular di ogni latitudine, ma è altrettanto vero che pedine ben scelte e ben mosse difficilmente fanno giocare brutte partite. Eric Bibb, ad esempio, mette con questo disco un bel sigillo sulla sua personale ricerca del disco perfetto col gruppo perfetto. Perché il sessantaquattrenne bluesman da anni in residenza europea ha attorno la North Country Far, ovvero tre dei migliori strumentisti “roots”, dalla Finlandia, e in più c’è il colpo da maestro di mettersi accanto, a distribuire toniche pastose, Danny Thompson, il gran signore del contrabbasso del folk progressivo inglese. Risultato: un disco di ammaliante bellezza e (apparente) semplicità, concluso trionfalmente con una versione acustica e bluesy di You Really Got Me, pregiata ditta Kinks, che, ancora una volta, ci fa vedere da dove arrivino le cose. Guido Festinese
EMILY JANE WHITE – They Moved in Shadow All Together
Il titolo del quinto album di Emily Jane White, “They Moved in Shadow All Together”, si ispira a un’opera tratta dal romanzo “Outer Dark” di Cormac McCarthy in cui viene descritto un tormentato e misterioso gruppo di viaggiatori che discendono una collina tra i monti Appalachi. La White ricorda di essere stata sconcertata dalla visione del movimento del collettivo di viaggiatori – frammentati nel loro essere uniti – e ha sentito una sorta di risonanza con il suo disco in fase embrionale e il tema dell’esplorazione dei traumi. Gli 11 brani di “They Moved in Shadow All Together” si concentrano concettualmente sulla sintomatologia del trauma, un sistema di esperienze marchiate dalla frammentazione di sé. Questi brani affrontano l’impatto di un trauma su un individuo ma anche un di un’identità collettiva – l’amalgama di pezzi in cui si scompone la psiche dopo una tragedia, e la convivenza dissociativa tra credere e negare che ne consegue. La White ha scritto ‘The Black Dove’ contro la violenza razziale delle forze di polizia. In ‘Womankind’ accusa sconsolata l’incessante violenza sulle donne e il silenzio che opprime la verità delle sopravvissute. Il nuovo lavoro della White ci trasporta immediatamente nel suo empatico mondo interiore. La profondità e l’ampiezza della sua maturità vocale è evidente. I suoi vocalizzi creano un immediato senso di unione e cameratismo, uno spazio popolato da voci, forse angeliche, sicuramente eteree. L’invito per l’ascoltatore è quello di sedersi avvolto dai suoi cori e lasciare che una speranza melodica e una salvezza catartica vi trasformino. Sicuramente gli arrangiamenti polivocali della White hanno un ruolo determinante per l’ascolto del disco, e ne sono elementi distintivi. L’accompagnamento del polistrumentista Shawn Alpay supporta totalmente la steady guitar e il piano suonati dalla White, creando un incantevole gioco di melodie e sessioni ritmiche che si rincorrono e alternano. Il violoncello dona all’intero disco un’aura greve ma intensa, mentre il basso e la batteria aiutano a definire il flusso di traccia in traccia. Andrea Gemignani
RADIO DAYS – Back in the day
I Radio Days fanno parte di quella stretta cerchia di band italiane che mi fanno andare letteralmente via di testa. Quel tipo di gruppi che non perderei dal vivo per nulla al mondo e di cui aspetto con ansia ogni nuova maledettissima uscita. E così, quando ho saputo che “Back in the day”, il loro quarto album, era lì lì per essere pubblicato sono andato subito in fregola. Ho cominciato a setacciare la rete per trovare qualche anteprima e dopo un video live molto promettente e lo streaming gratuito dell’intero disco su “Rumore”, sabato scorso al Ligera di Milano sono finalmente riuscito a mettere le mani sul loro ultimo vinile. Chi non li conoscesse – oltre a provare un po’ di vergogna – sappia che i nostri sono la band power-pop più figa attualmente in circolazione. Cresciuti a pane e punk-rock (Paco e Dario, due terzi del gruppo, vengono dai Retarded) hanno piano piano sviluppato uno stile molto personale e riconoscibile, che cita con gusto e pochissima invadenza Elvis Costello, gli Knack, i Beat di Paul Collins, i Rubinoos e tutte quelle band che tra il 1978 e il1 981 hanno mescolato chitarre punk, melodie pop, Beatles, bubblegum rock e new wave: in una parola il power-pop. Una formula che in questo “Back in the day” raggiunge decisamente il suo apice (anche se tutti i dischi dei Radio Days – a parte il primo omonimo quando i nostri suonavano ancora pop-punk – sono perfetti). Ci sono i ritornelli e rff che ti entrano subito in testa come “Why don’t you love me anymore?”, “Back in the day” e “Rock’n’roll night”, le melodie super zuccherose che ti fanno sciogliere come neve al sole (“You bright me down”), il pop-punk dei bei tempi andati (“Best friend”) e le ballate da pomiciata assicurata (“Betta are uou feeling better”). Ma come accade per i grandi album è tutto il disco nel suo insieme a suonare alla grandissima. Più lo ascolti, più te ne innamori. Tanto che ogni volta scopri qualcosa di diverso. Per esempio, sentendo “Subway station girl” mi è venuto uno di quei dubbi assurdi che solo Dario, Mattia e Paco potranno svelarmi (magari dimostrando che sono un toale idiota): non è che il pezzo è ispirato al film “I Fichissimi”? Il titolo e il riff del ritornello mi hanno fatto venire in mente quel capolavoro assoluto con Diego Abatantuono e Jerry Calà. Ma magari sono soltanto io che sono uscito fuori di testa. Detto questo “Back in the day”è il disco dell’anno. Una bomba clamorosa che non potete assolutamente perdere. Diego Curcio
IL DIARIO
Diario del 27 aprile 2014
La prima cosa che faccio questa mattina, entrando in negozio, è di guardare quanti mi avevano chiamato nei due giorni di festa: ieri, domenica, nessuno, sabato, 25 Aprile, nove. Forse volevano controllare che io non avessi raccontato palle su facebook col mio post sul giorno della Liberazione.
Cerca invece un cd la signora che mi chiama oggi, “Volevo sapere se ha il disco di Stil”, io, interdetto, “Stil?”, lei, sorpresa della mia sorpresa, “E’ famoso! Cerco il disco con la giraffa in copertina”, io, indagatore, “Stil e poi? Il nome?”, lei, sicura, “Stefano”, io, dubbioso, “Stefano Stil?, Ma non è che sia il pianista Stephen Schlaks?”, lei, sempre più spazientita, “E’ quello che poi ha suonato con Crosby e Nash!”. Capito, sono stato un po’ duro di comprendonio, era così facile, Stefano Stil=Stephen Stills, “Ah, e quale vuole?”, lei, “Quello intitolato Full Album, gliel’ho detto, quello con la giraffa”, io, “Non esiste con quel titolo, è il primo, l’omonimo”, lei, sempre più scettica sulla mia conoscenza musicale, “Eppure io ho letto Full Album”, io, “Scommetto che l’ha letto su Youtube”, lei, “Esatto”, io “Infatti”.
Ancora telefono, “Discooocluuuub”, una voce troppo gentile, “Buongiorno signore, sono Giuseppe di British Telecom, piacere di sentirla”, lo stoppo subito, “Io non ho altrettanto piacere di sentirla, buongiorno”.
Per concludere, un altro cambio di nome, quale nome? Il mio. Dopo Andrea Duran Duran che mi chiama Marcello, oggi tocca a Maurizio il Maratoneta (soprannominato dall’amico Francesco “passueta”). Dopo il suo passaggio quotidiano, per chiedermi se è arrivato il disco che ha ordinato il giorno prima e per darmi qualche centesimo di acconto per il cd che aspetta, saluta con un “Ciao Diego”; mi guardo intorno, ci sono solo io, quindi quel saluto è rivolto a me; la cosa strana (come per Andrea) è che fino all’altro giorno mi salutava “Ciao Gian”, da oggi sono diventato Diego.
LE PROSSIME USCITE
AMERICAN HI-FI – AMERICAN HI-FI ACOUSTIC
ASIA – PHOENIX
BAD COMPANY – LIVE 1977 & 1979
DEEP PURPLE – LONG BEACH 1976
DISCHARGE – END OF DAYS
ADAM GREEN – ALADDIN
JETHRO TULL – AQUALUNG 40 TH ANNIVERSARY
SE DELAN – DRIFTER
SNARKY PUPPY – CULCHA VULCHA
TRAVIS – EVERYTHING AT ONCE
EMILY JANE WHITE – THEY MOVED IN SHADOW ALL TOGETHER
ROB ZOMBIE – THE ELECTRIC WARLOCK ACID
ZUCCHERO – BLACK CAT
LA CLASSIFICA DELLA SETTIMANA
1 PJ HARVEY – THE HOPE SIX DEMOLITION PROJECT
2 SANTANA – IV
3 BLACK MOUNTAIN – IV
4 WIRE – NOCTURNAL KOREANS
5 SANDY DENNY – I’VE ALWAYS KEPT A UNICORN
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