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Disco Club: recensioni, consigli, classifiche e novità. La rubrica di un dischivendolo/7 aprile 2016

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A CURA DI DIEGO CURCIO

LE RECENSIONI

CARRIE RODRIGUEZ – Lola

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Qualcuno forse il nome lo ricorderà, quando Carrie era il contraltare femminile di Chip Taylor. Dischi in duo belli e intelligenti di country rock contemporaneo. Poi lei ha deciso di approfondire le conoscenze strumentali (suona, benissimo, l’inconsueta chitarra tenore a quattro corde e il fiddle), ed ha anche cominciato a scrivere splendide canzoni, senza dimenticare però mai però che il suo cuore batte colpi alternati: è una Texana di Austin, ma il cognome dichiara anche molte, molte stille di sangue messicano. Praticamente l’incubo musicale di Donald Trump. Adesso con Lola esce, a testa alta, con un disco che oltre a presentare struggenti versioni di classici latini offre anche struggenti ballad in inglese, e un tono indolente e avvolgente che conquista al primo ascolto. C’è un ulteriore segreto. La chitarra elettrica country rock quasi “metafisica” come quella di “Paris,Texas” di Ry Cooder è quella di Bill Frisell. Evidentemente divertito e partecipe di questa curiosa avventura tex mex pura. Guido Festinese

ENRICO PIERANUNZI – Proximity

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Continua il percorso musicale del sessantaseienne pianista romano che dopo un disco in duo con il chitarrista Federico Casagrande e uno con la cantante Simona Severini nel 2015 ha pubblicato anche queste otto composizioni originali con un quartetto inedito composto da Matt Penman al contrabbasso, Ralph Alessi alla tromba, cornetta e flicorno e Donny McCaslin al sassofono tenore e soprano (che sta beneficiando di una certa notorietà per la presenza nell’ultimo disco di David Bowie). La scelta di non utilizzare un batterista rende l’ensemble molto ‘libero’ nelle strutture e ‘aereo’ nelle melodie, ma sempre molto riconoscibili come l’esemplare apertura di “(In)Canto”. C’è un brano per Lee Konitz, “Line For Lee”, uno in due con il solo Alessi, “Simul”, una composizione corale che dà titolo al disco e un finale à la Coleman (Ornette), “Five Plus Five”, trascinante e cinetico fino all’astrattismo conclusivo. Un’altra conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, della grandezza di un pianista di valore assoluto. Danilo Di Termini

CHARLES BRADLEY – Changes

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Sessantasette primavere e non un segno di flessione. Da Brooklyn torna ad urlare l’aquila del soul, con il nuovo attesissimo album. Secondo il prestigioso magazine Rolling Stone ‘Changes’ è uno degli album più importanti di questo 2016, un disco anticipato dal singolo omonimo, un virtuoso remake dell’atipica ballata ‘Changes’, comunque uno dei pezzi più memorabili nel folto repertorio dei Black Sabbath. Un documentario ed una coppia di album (No Time For Dreaming e Victim Of Love) che hanno letteralmente ridefinito i confini emotivi del neo-soul, una carriera che ha subito una grandissima impennata forse nel momento più difficile della sua intera esistenza. Una di quelle sensazioni cui è difficile attribuire un nesso logico, una magia che si rinnova attraverso undici incredibili brani, veri e propri stralci di vita vissuta, implacabili riflessioni sul nostro tempo. Una delle pubblicazioni chiavi per tutto il circuito black e non solo. Luca Colle

BOB MOULD – Patch the sky

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Lo zio Bob non tradisce (quasi) mai. E anche con questo “Patch the sky” (come con i due album precedenti) ci regala una manciata di ottimi brani, suonati ma soprattutto cantati alla grande. Insomma: è inutile nascondersi, quando si parla di Mould – oppure di Hart, visto che Norton si è dato alla ristorazione – il fantasma degli Husker Du è sempre dietro l’angolo. E almeno per quel che mi riguarda diventa piuttosto difficile essere obiettivi. Io, come molti fan degli Huskers, non mi sono ancora rassegnato al loro scioglimento e così, come un tossico che si sta disintossicando dall’eroina, accolgo ogni album solista dei due fratelli-coltelli di Minneapolis come vere e proprie cucchiaiate di metadone. Detto questo, in passato, è anche capitato di doversi mettere in casa album incolore o decisamente poco a fuoco (qualcuno direbbe orrendi) come “Modulate” di Mould. Ma stoicamente, in ricordo dei bei tempi di “Zen arcade” o “New day rising”, ho sopportato anche queste ingiurie al buon nome della mia band preferita. Da qualche tempo a questa parte però Mould – visto che Hart è sempre stato parco e forse qualitativamente meno altalenante – sembra aver ritrovato il vecchio tocco magico (se non tutto almeno una buona parte). E anche questo nuovo lavoro appare abbastanza ispirato sin dal primo ascolto. Intediamoci, “Patch the sky” non si può certo definire un capolavoro o uno di quegli album che vi cambieranno la vita; ma se la vita ve l’hanno già cambiata gli Husker Du o gli Sugar qui troverete comunque di che restare soddisfatti. Soprattutto nella prima parte, il disco ci riporta al Mould energico e melodico dei primi Novanta, con quella voce inconfondibile, grossa ma anche un po’ nasale che ha definito un intero modo di cantare. Le chitarre sono potenti e pienissime come al solito e anche se non tutto l’album tiene botta allo stesso modo (la parte centrale ha qualche calo fisiologico) brani come “Voices in my head”, “The end of things”, “Hold on” (la mia preferita), la poppeggiante e insolita “Losing sleep” e la scheggia “Hands are tied” sapranno farvi godere al punto giusto. Più che in territori Huskers, come d’altronde era già avvenuto nel recente passato, in questo disco Bob sembra muoversi sul solco tracciato con gli Sugar (e non solo quelli di “Copper Blue”). Ma questo non è necessariamente un male; anzi. Per farla breve: anche se è leggermente meno riuscito del suo predecessore “Beauty & ruin”, “Patch the sky” resta un gran bel lavoro e si guadagna il diritto a essere uno dei candidati ai dieci dischi dell’anno. Diego Curcio

IL DIARIO

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Diario del 7 aprile 2014
Da un po’ di giorni nel reparto usato è arrivata una vera e propria rarità: il vinile originale della John Dummer Blues Band. Il suo valore di mercato si avvicina ai mille euro, ovviamente questa è una cosa teorica, bisogna trovare uno disposto a fare questa offerta. A dire il vero un “pazzo” l’avremmo trovato. Pazzo perché io (pur vendendo dischi da quasi mezzo secolo) non sarei mai disposto a spendere una cifra simile per un disco che alla fin fine è stato ristampato in cd e si può tranquillamente sentire sborsando solo quindici euro. Questo “pazzo” è ovviamente un cliente di vecchia data, il finto prete (come è stato soprannominato per le sue maniere), che avrebbe potuto comprare il vinile quando è uscito, ma non ci ha minimamente pensato, forse perché costava solo 1.900 lire, adesso è uno dei ricercati e, da quando lo ha visto in negozio, non fa più vita e non la fa fare a Fabio dell’usato: ogni giorno è una lotta di almeno due ore a suon di “manca un allegato”, “non è perfetto”, “ha un angolo schiacciato”, “ti offro duecento euro”, il giorno dopo “al massimo trecento”. Vi terrò informati su un eventuale esito positivo, cosa della quale dubito, perché il Finto Prete è il classico collezionista che, quando vuole vendere un disco lui, è una cosa rarissima, introvabile, che ci fa il piacere di lasciare a una cifra ridicola, mentre quando deve comprarlo diventa una cosa facile da trovare, non perfetta, etc. etc. etc., per la quale chiediamo una cifra assurda. Anche U Megu ronza intorno alla questa rarità, “Mi piacerebbe, ma è troppo caro”, “Che genere è” gli chiedo, “Non lo so, non l’ho mai sentito” …..
A proposito di vinili usati, oggi un cliente noiosino, dopo aver maneggiato un disco, mi chiede “Ma li avete girati?”, io glielo prendo di mano, lo giro e “Sì”, non l’ha presa bene, se ne è andato senza comprarlo.
Concludiamo la giornata con un altro vecchio cliente. E’ sempre stato condizionato nei suoi acquisti dalla moglie gendarme; oggi mi telefona, “Hai questi due cd di Hackett”, mi dice i titoli e li ho entrambi, “Bene, adesso arrivo a prenderli”. Infatti un’ora dopo arriva, “Dammene uno solo, ecco questo, mia moglie mi ha dato solo cinque euro”. Paghetta un po’ bassa per un quasi sessantenne.

LE PROSSIME USCITE

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Domani
TIROMANCINO – NEL RESPIRO DEL MONDO
DEFTONES – GORE
WEEZER – WEEZER (WHITE ALBUM)
THE DANDY WARHOLS – DISTORLAND
FILTER – CRAZY EYES
BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS – CALL IT WAT IT IS
THE LUMINEERS – CLEOPATRA
BEN WATT – FEVER DREAM
RONNIE SPECTOR – ENGLISH HEART
ZAKK WYLDE – BOOK OF SHADOW II
CULT OF LUNA – MARINER
CLUSTER – 1971-1981 (cofanetto)
TEHO TEARDO & BLIXA BARGELD – NERISSIMO

LA CLASSIFICA DELLA SETTIMANA

1 EXPLOSIONS IN THE SKY – The Wilderness
2 MOGWAI – Atomic
3 THE LAST SHADOW PUPPETS – Everything You’ve Come To Expect
4 MODERAT – III
5 RICHMOND FONTAINE – You Can’t Go Back If There’s Nothing
6 BLACK MOUNTAIN – IV
7 JOE BONAMASSA – Blues of Desperation
8 JEFF BUCKLEY – You And I
9 DANIELE SILVESTRI – Acrobati
10 MARTA SUI TUBI – Lo stile ostile

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