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Il capolavoro ritrovato: “La favola di Latona” da oggi a Palazzo Bianco

O De Ferrari, La Favola di Latona, firmato, cm 193x261

Palazzo Bianco ospita fino all’8 maggio il dipinto La favola di Latona di Orazio De Ferrari a lungo dato per disperso. Tutto nasce dall’importante ritrovamento del capolavoro dell’artista voltrese che raffigura una favola tratta dalle Metamorfosi di Ovidio: la Latona che trasforma i contadini di Licia in rane. Il dipinto verrà esposto all’interno del percorso espositivo e, in particolare, nella sala dedicata proprio a Orazio De Ferrari.

Il capolavoro, prima di pervenire a Giorgio Baratti, l’antiquario di Milano che ne è l’attuale proprietario e che sostiene l’intera iniziativa affidandola alla curatela di Anna Orlando, era stato acquistato nel 2005 presso i discendenti di Rodrigo Díaz de Vivar y Mendoza VII Duca dell’Infantado dagli antiquari madrileni Jorge Coll e Nicolás Cortés, che lo hanno pubblicato su loro catalogo della mostra in galleria di quell’anno affidandone la scheda alla storica dell’arte genovese Elena De Laurentiis (Maestros del Barroco Europeo, Madrid, Galleria Coll&Cortés, 2005).

Orazio De Ferrari è nato nel 1606 a Voltri in una famiglia di umili origini. Il nonno esercitava il mestiere di fabbro (ferrè), professione che spiega probabilmente l’origine del cognome, da non confondersi con quello della nobile casata. Allievo di Andrea Ansaldo, anch’egli voltrese, De Ferrari fu attivo soprattutto per ordini religiosi e confraternite, dipingendo più raramente soggetti profani come appunto La Favola di Latona celebrata nel 1642 dal poeta ligure Luca Assarino.

Nell’occasione sarà presentato anche il volume La favola di Latona di Orazio De Ferrari. Il ritorno di un capolavoro. Con aggiunte al catalogo del pittore a cura di Anna Orlando. Sagep Editori (italiano e inglese, 96 pp., 30 €).

Il libro, in italiano e in inglese offre un importante approfondimento critico sul capolavoro, con saggi di Raffaella Besta, Piero Boccardo, Agnese Marengo, Simona Morando e Franco Vazzoler e Anna Orlando, e vede inoltre un repertorio di circa 50 dipinti del pittore in gran parte inediti e riapparsi dopo la pubblicazione della monografia di Piero Donati, pubblicata sempre da Sagep nel 1997. A vent’anni da quel catalogo ragionato la ricognizione di Anna Orlando offre così un consistente aggiornamento sul corpus pittorico dell’artista, protagonista della stagione del naturalismo del primo Seicento genovese.

Biografia

Orazio De Ferrari nasce nel 1606 a Voltri, sobborgo dell’immediato ponente genovese, in una famiglia di umili origini. Il nonno esercitava il mestiere di fabbro (ferrè), da cui probabilmente il suo cognome, da non confondersi con quello della nobile casata.

Documentato come pittore nel 1627, è allievo di Andrea Ansaldo, anch’egli voltrese, di cui Orazio sposerà la nipote nel 1631.
Dopo la nascita della primogenita nel 1633, si trasferisce a Genova nel 1634 e battezza in S. Giorgio il figlio Andrea che diventerà suo allievo e collaboratore.

È possibile che Orazio abbia soggiornato a Napoli e conosciuto da vicino l’opera del Ribera, ma non vi sono documenti e ciò si ipotizza solo per ragioni stilistiche. Dal 1639 è nuovamente documentato a Genova nella parrocchia di S. Lorenzo, dove sono battezzati gli altri figli.

Molte le opere pubbliche datate o documentate del quarto e quinto decennio del secolo, soprattutto pale d’altare, non solo per le chiese della nativa Voltri, ma anche in cittadine dell’entroterra (Mele), del Ponente ligure (Varazze, Celle, Albisola Superiore, Pietra Ligure, Loano, Toirano, Ceriale, Albenga, Diano Marina, Rezzo), della Liguria di Levante (Chiavari, Lavagna, Sestri Levante, Levanto,) o di Genova e del suburbio (Molassana, Pontedecimo, Cogoleto).

Attivo soprattutto per ordini religiosi e confraternite, dipinge più raramente soggetti profani come il Ratto delle Sabine datato 1640 in collezione privata e La favola di Latona celebrata nel 1642 dal poeta Luca Assarino qui esposta.

Il quinto decennio del secolo è quello in cui si registra il maggior numero di opere datate e firmate, per importanti committenze religiose soprattutto a Genova: l’oratorio di S. Giacomo della Marina; la chiesa degli Eremitani e la basilica di
S. Siro, per esempio.

Intorno al 1650 Orazio entra in contatto con il Principe di Monaco Onorato II Grimaldi, per il quale è artista e intermediario. Nel 1652 è nominato dal principe cavaliere dell’ordine di S. Michele, titolo che accompagna la sua firma nel 1653 sul Presepe dell’Albergo dei Poveri e ancora nel 1654 sul Transito di San Giuseppe di Sestri Levante.

Il 18 ottobre 1654 è a Monaco come padrino del figlio di uno degli interpreti del balletto Le vittorie di Minerva, rappresentato nel 1655 per iniziativa di Aurelia Spinola, con scene di Orazio che disegna anche un’incisione per il resoconto.

La terribile peste che a Genova decima la popolazione graverà anche sul pittore e su tutta la sua famiglia, morta in quel terribile 1657.

La favola di Latona (di Anna Orlando)

Olio su tela, cm 193 x 261
Firmato sul bastone del contadino a destra “HORAT. FERRAR. GENO” Milano, Giorgio Baratti Antiquario
Esposto ai Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco, fino all’8 maggio 2016

Questa tela di grande impatto scenografico, oltre che dimensionale, è ricordata
nel componimento poetico I Raguagli di Cirpo del ligure Luca Assarino, stampato nel 1642.
La descrizione del dipinto obbliga a ritenere che si tratti proprio del nostro quadro:
“Una tela ove si vedeva Latona che, oltraggiata nell’acqua da alcuni villani, alzava gli occhi al cielo per domandar vendetta ed essi intanto rimaneano a poco a poco tramutati in rane. Era indicibile vedere con quale stupenda maestria havea la mano operatrice saputo esprimere gli affetti della Dea, e la confusione di quei malnati. Con quale industria in un solo individuo havea moltiplicato l’essenza di due differentissimi animali, e con qual ingegno, inserendo in un collo umano il capo d’una bestia, gli era riuscito il dinudar altrui un piede, e calzarlo colla zampa d’un mostro acquatile”.

Sappiamo dunque per certo che l’opera fu eseguita entro il 1642 da Orazio De Ferrari, che la firma, suggerendo così che si trattava di una commissione importante. Ma quando fu dipinta? E per chi?

Il capolavoro, prima di pervenire a Giorgio Baratti, attuale proprietario, è acquistato nel 2005 dagli antiquari madrileni Jorge Coll e Nicolás Cortés presso i discendenti di Rodrigo Díaz de Vivar y Mendoza VII Duca dell’Infantado.

Le ricerche condotte sulla provenienza da Piero Boccardo, direttore dei Musei di Strada Nuova, permettono ragionevolmente di individuare la tela con quella che nel 1653 si trovava nella collezione del defunto Manuel Alonso de Fonseca Fuentes de Zúñiga Acevedo (ca. 1590-1653), conte di Fuentes e VI conte di Monterrey, nel cui inventario è descritto “un quadro grande de una fabula con una muger, dos ninos y un hombre conbertido en rrana”, ovvero una favola con una donna, due bambini e un uomo trasformato in rana, senza un preciso riferimento attributivo, ma con la eccezionale stima di 2.750 reales.

Il conte di Monterrey, era stato ambasciatore straordinario a Roma nel 1621 e nel 1628, e poi Viceré di Napoli dal 1631 al 1637. A Genova soggiorna al momento del suo arrivo in Italia, probabilmente via mare, nel 1621, nuovamente nel 1628 e poi, alla fine della sua residenza a Napoli, nel febbraio 1638.

A lui e a questo anno si devono far risalire le circostanze di esecuzione del capolavoro qui esposto, riapparso dopo secoli nei meandri del collezionismo privato ed eccezionalmente esposto al pubblico nella città in cui fu dipinto.

 

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