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Raffaella contro Toti, l’ossessione che rasenta lo stalking

Chiariamo subito, perché nel clima infuocato del consiglio regionale impegnato a sanzionare, o a far finta di nulla, per un esponente politico che avrebbe risolto il problema di genere del figlio accendendo la caldaia, oppure no, non l’avrebbe  mai fatto, meglio scherzarci un po’ su. A proposito, e’ politicamente corretto in questo senso utilizzare il termine infuocato che ricorda le fiamme dell’inferno? Meglio  forse usare “infuocatoso” più vicino al “petaloso” appena sdoganato, una sublimazione aggettivale per accostarlo a forni e microonde?
Chiariamo subito, dicevo, l’idea dello stalkeraggio nel titolo, reato per cui nell’articolo 612 bis del codice penale, e’ prevista una pena che va dai 6 mesi ai 4 anni, e’ soltanto un paradosso. Un tempo il tutto sarebbe stato ascritto al giochino infantile dello stuzzicarsi a vicenda per il quale era stato coniato in dialetto quel modo di dire tanto in voga  e che si attagliava alla perfezione “Mamma Tognu u me tucche, tucchime Tognu che goddu” o “Tucchime Tognu che mamma non vede”.  Ma le cose sono cambiate. Perciò fra messaggi Fb, cinguettii e quant’altro attenga alla privacy che in molti svendono per qualche moneta meglio mettersi al vento.
Insomma ci è sembrato che proprio ieri il “Tucchime Tognu” abbia raggiunto livelli di assoluto interesse.  Con una serie cinguettante di botta e risposta fra il capogruppo del Pd in consiglio regionale Raffaella Paita e il governatore della Liguria Giovanni Toti. Che fra i due non ci sia un livello empatico sufficiente e’ cosa nota. Un po’ piu’ preoccupante è l’impressione che ognuno di loro viva in funzione dell’altro, in una coesione da vecchia coppia scoppiata che ricorda più Handy Capp e la moglie Florrie, che i due massimi rappresentanti dei poli politici antagonisti.
Il casus belli, motivo del contendere è l’ormai stantia vicenda delle presunte offese di genere, anzi omofobe del consigliere regionale leghista Giovanni De Paoli alle quali è stata dedicata l’ulteriore seduta del consiglio regionale di ieri. Presunte offese per le quali il De Paoli si era a suo tempo guadagnato sul Secolo XIX il titolo di minchione ad honorem. L’imputato si era difeso già allora sostenendo l’insostenibile leggerezza di un “non” calato, come un apostrofo rosa, nella frase “Se avessi un figlio gay (non) lo brucerei in una caldaia”. La presunta bestemmia era stata pronunciata  nel corso di una commissione in presenza dei rappresentanti dell’Agedo, oltretutto qualche settimana fa, in piena bagarre per le unioni civili. Come, ci si passi il termine, non rimanerne scottati? Tanto è vero che il caso era deflagrato sulla stampa nazionale, con tanto di dichiarazioni del segretario della Lega Matteo Salvini e poi giù sino ai consiglieri regionali. De Paoli si era immediatamente scusato anche di essere stato soltanto frainteso, i contendenti non si erano scusati di averlo frainteso. Ma non fa nulla. Toti aveva scusato De Paoli, il presidente del consiglio Francesco Bruzzone aveva dovuto ascoltare la testimonianza di una dipendente regionale che aveva ma sua volta assicurato di non aver udito il non. Le associazioni Lgtb chiederanno giustizia in tribunale. Il gioco delle parti, insomma.
E ieri, almeno in consiglio regionale è stato il giorno del giudizio. Cosi’ De Paoli, interpretando il ruolo che gli era stato assegnato sulla prima pagina del Secolo XIX, ha offerto una prestazione da Oscar. “Il giorno del fatto ho già chiesto scusa se sono stato frainteso. Non devo domandare scusa ogni volta che qualcuno me lo chiede”. Poi il colpo d’ingegno “Spero che da oggi ci si possa occupare dei problemi veri e gravi di questa regione”. Che, magari, detto nel contesto di un’altra situazione, in tutta tranquillità , come proposito non ci sarebbe stato nemmeno malissimo. Ma in Italia, quando si parla di problemi di principio e per di più di presunta omofobia, dallo scontro fra Mancini e Sarri, occorre andarci con i piedi di piombo. Lo scivolone e’ dietro l’angolo con una sensibilità così acuita. Cosi’ Alice Salvatore, consigliere pentastellato, ha indossato le vesti del pubblico accusatore sostenendo che De Paoli aveva peggiorato le cose offendendo ancora una volta quelle persone e ne ha richiesto le dimissioni. Pippo Rossetti del Pd ha chiesto scusa a quelle persone a nome del consiglio regionale. Singolare la volontà di non usare nell’aula consiliare la parola gay. il giudice della questione, il governatore Giovanni Toti, un po’ Ponzio  Pilato, un po’ Salomone, ha assolto il suo pargolo.
“Lui ha detto di aver usato la frase in senso positivo. Il non la rende invece aperta al confronto”. Fine della seduta pubblica e iniziò del “Tognu me tucca”.
Ore 18,30 di ieri. Lella Paita cinguetta sulla sua pagina Twitter la domanda retorica “Quindi per Giovanni Toti se De Paoli avesse detto “Non lo brucerei nel forno” dimostrerebbe apertura al confronto e a capire l’altro?”
La risposta via Twitter di Toti non si fa attendere. Qualche minuto dopo sulla sua pagina compare un ironico “Finalmente Paita ha detto la sua. Un sospiro di sollievo. Ero preoccupato umanamente e politicamente del suo silenzio. Ora sono più tranquillo”. Come dire ” ah Raffae, tutto sto tempo per partorire sto topolino”. Passano due ore e il giochino ricomincia. Paita “Lo so, sei ossessionato da me”. Risposta del governatore “Raffaella Paita stavolta hai ragione, se non ci fossi… mi mancheresti!!!!!”. Un’ora e Paita non riesce a trattenersi “Ma ci sono! E farò in modo di non mancarti mai”. Ore 21,30, vengono deposte le armi. Ecco la domanda, a questo punto potrebbe essere: chi ossessiona chi? Visto che la trombatura alle recenti regionali per l’aspirante presidente del Pd ad opera proprio di Toti sembrerebbe essere ancora cosa da nervi scoperti.
E in tal caso agli stolkerati potrebbe venire in soccorso una recente mozione presentata dal consigliere pentastellato Fabio Tosi e approvata all’unanimità. Riguarda l’esenzione del tiket al pronto soccorso per le vittime delle violenze di genere. La vicepresidente  della giunta Sonia Viale vota a favore ma si barrica dietro alla questione della copertura delle spese. Secondo Tosi comunque si tratta di un atto di grande civiltà dal punto di vista sanitario e sociale. Tranne rendersi conto, per il nostro presidente della giunta stalkerizzato, che fra le vittime di violenza non rientrano i maschietti. Tosi infatti aveva spiegato. “È violenza  contro le donne ogni atto di violenza fondata sul genere che provoca un danno o una sofferenza fisica sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce la coercizione o la privazione della libertà”. Ma come stupirsi quando nel nostro paese anche la politica, anzi soprattutto la politica, e’ sempre più soggetta alla suggestione delle crociate. E prima delle unioni civili c’era la campagna sul femminicidio. Per cui lo stalker evidentemente non può essere che maschio, con buona pace della Paita. E qualche punto a favore del pragmatismo di De Paoli.
Il Max Turbatore

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