Oggi il 75º anniversario del bombardamento navale inglese su Genova
di Giovanni Giaccone
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Nel 1940 l’Italia entra in guerra a fianco dei nazisti e non ci vuole molto a capire, nonostante le speranze di Mussolini per un esito veloce del conflitto a favore dei tedeschi, che l’esercito italiano ha gravi carenze in tutta la sua organizzazione “di cielo, di terra e di mare”.
La debolezza del sistema militare italiano si evidenzia un tutta la sua lampante grandezza la mattina del 9 febbraio 1941 con un bombardamento navale della flotta inglese sulla costa ligure e su Genova che avviene senza problemi e nessuna capacità di reazione da parte della marina e dell’aviazione italiana.
Gli inglesi la chiamano “operazione Grog” e la manovra ha un significato politico oltre che militare: dimostrare che l’Italia non è la padrona del Mediterraneo come ripete Mussolini nella sua attività di propaganda politica. C’è poi un altro scopo da parte dei britannici: grazie alle informazioni dell’intelligence sono venuti a conoscenza di un incontro segreto tra Mussolini e Franco, il dittatore spagnolo, che si dovrebbe svolgere a Bordighera proprio in quei giorni. Il Duce ha il compito, assegnatogli da Hitler, di convincere Franco a schierare la Spagna con le forze dell’Asse. Gli inglesi che in quel momento, dopo la resa della Francia, sono soli a sostenere il conflitto contro i tedeschi, dimostrerebbero così non solo la pochezza della Regia Marina nel Mediterraneo ma anche l’incapacità degli italiani di garantire la sicurezza ad un prezioso alleato che avrebbe così mille motivi per negare il suo appoggio.
Le manovre britanniche iniziano ai primi di febbraio con dei movimenti di disturbo vicino alle coste sarde da parte della “forza H”, la flotta inglese che aveva il compito dopo la resa della Francia di rendere difficile la vita agli italiani nel Mediterraneo. Comincia una serie di mosse per confondere “Supermarina”, il comando navale italiano con sede a Roma che aveva il compito di coordinare le forze militari sul mare. Gli inglesi riescono nel loro intento, quello di nascondere la flotta e lasciare segnali che questa si trovasse a una notevole distanza dalle coste e “Supermarina” cade nel tranello.
Il primo mattino del 9 febbraio la “forza H” è perfettamente schierata lungo la costa ligure e pronta a coordinare un bombardamento che arriverà o direttamente dalle batterie di cannoni delle navi oppure dagli aerei che partono dalle due portaerei della flotta. Scacco matto. Sul cielo di Genova vengono avvistati dei ricognitori inglesi che lanciano dei piccoli palloni aerostatici che scendono dolcemente dal cielo verso il suolo. La popolazione guarda con curiosità quelle mosse senza assolutamente comprendere che si tratta di segnali per la regolazione dell’imminente bombardamento.
Alle 8.14 le navi britanniche aprono il fuoco e Genova finisce sotto un diluvio di proiettili. Da terra la difesa non è all’altezza dell’attacco sferrato, le batterie italiane sono obsolete e hanno dei calibri che non riescono neppure a raggiungere i loro bersagli. Sampierdarena, dove si trovava l’Ansaldo e altre fabbriche sono il bersagli principale della flotta inglese, ma i colpi cadono un po’ dappertutto, sul porto dove viene affondata la nave scuola Garaventa e vengono danneggiate altre imbarcazioni.
È nel centro cittadino, però, che la forza del bombardamento si scatena con tutta la sua violenza provocando morte e distruzione.
Alla fine dell’attacco in città divampano incendi e molti palazzi sono devastati. Il bilancio è tragico: 144 morti e 272 feriti e quello che è peggio non c’è stata battaglia, la popolazione ha subito in casa propria, senza protezione alcuna, un attacco da parte di una piccola flotta di un paese molto distante e sotto assedio.
Per il fascismo è uno smacco clamoroso. Sarà un amaro antipasto a quello che dovrà subire la popolazione civile italiana negli anni a venire. Quel bombardamento rimarrà impresso nella memoria e nei ricordi dei genovesi per anni anche perché rinverdiva una tradizione che loro malgrado, nei secoli i genovesi avevano conosciuto con l’illustre precedente del re Sole e ancora (sempre loro) gli inglesi nel drammatico assedio del 1800. Le ferite di quelle bombe rimarranno a lungo nel tessuto urbano della città insieme a quelle inferte poi dai bombardamenti aerei degli anni successivi. Uno di quegli ordigni sfondò il tetto della cattedrale ma non esplose e ancora oggi (disinnescata) fa bella mostra di sé all’interno di S. Lorenzo. La leggenda vuole anche che una di queste grosse bombe andasse a cadere in piazza De Ferrari per andare a sprofondare nel terreno sottostante. Nonostante in molti giurassero di aver visto quella bomba cadere, le ricerche dei vigili del fuoco e della polizia municipale non ebbero mai esito ma ci sono ancora degli anziani che sarebbero disposti a giurare che quella bomba è ancora lì, sotto la fontana.
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