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La pastasciutta antifascista: un piatto di libertà che ricorda la fine del fascismo e il sacrificio della famiglia Cervi

A fronte dei commenti disinformati di lettori di destra e/o qualunquisti e/o troll piombati a valanga sulla pagina del sito in seguito all’annuncio della sindaca Silvia Salis di voler organizzare una grande pastasciutta antifascista con Anpi per il prossimo 25 aprile, è chiaro che molti non sanno cosa sia e perché sia un simbolo. C’è chi chiede ironicamente se sia al sugo rosso in omaggio al comunismo (spoiler: no), chi suggerisce eventi popolari come la tavolata della focaccia o del salame più lunghi del mondo come fece il duo Toti-Bucci, chi, semplicemente insulta. E non capisce che se può scrivere sciocchezze sui social è anche grazie ai fratelli Cervi, uccisi dai fascisti

Dalla festa improvvisata in una cascina emiliana nel 1943 a simbolo nazionale dell’antifascismo: la pastasciutta antifascista racconta una storia di popolo, solidarietà e Resistenza. Al centro, la vicenda dei fratelli Cervi, contadini che scelsero la libertà e pagarono con la vita.

La pastasciutta antifascista non è solo un piatto condiviso: è un gesto politico, civile e profondamente umano. Ogni anno, soprattutto intorno al 25 luglio e al 25 aprile, viene preparata e offerta in tante piazze e comunità italiane come simbolo di libertà, uguaglianza e memoria. Le sue origini affondano in uno dei momenti più drammatici e allo stesso tempo più carichi di speranza della storia italiana: l’estate del 1943.

Il 25 luglio 1943: la festa della libertà ritrovata

Il 25 luglio 1943 il regime fascista crolla con la destituzione e l’arresto di Benito Mussolini. In un’Italia stremata da vent’anni di dittatura e da una guerra devastante, la notizia si diffonde rapidamente e accende un sentimento nuovo: la possibilità concreta della libertà.

A Campegine, nella bassa reggiana, la famiglia Cervi decide di festeggiare in modo semplice ma rivoluzionario. Alcide Cervi, padre dei sette fratelli, fa cuocere quintali di pasta e li condisce con burro e formaggio. La pastasciutta viene distribuita gratuitamente a tutto il paese. Nessun invito ufficiale, nessuna distinzione sociale: chiunque poteva sedersi e mangiare. In quel gesto c’era un’idea chiara e potentissima: la libertà è condivisione, non privilegio.

Quella pastasciutta non era solo una festa, ma una dichiarazione di valori. In un Paese dove il fascismo aveva imposto gerarchie, paura e repressione, i Cervi rispondevano con un atto collettivo di uguaglianza e gioia.

I fratelli Cervi: contadini, antifascisti, partigiani

La storia della pastasciutta antifascista è inseparabile da quella dei sette fratelli Cervi: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore. Contadini innovatori, aperti al progresso agricolo e culturale, i Cervi trasformarono la loro cascina in un luogo di accoglienza, incontro e resistenza. Durante il fascismo e dopo l’8 settembre 1943 offrirono rifugio a perseguitati politici, prigionieri alleati in fuga, renitenti alla leva e partigiani.

La loro casa non era solo un’abitazione, ma un’idea di Paese: solidale, libero, giusto. Proprio per questo divennero un bersaglio. Il 25 novembre 1943 furono arrestati dai fascisti della Repubblica di Salò. Poco più di un mese dopo, all’alba del 28 dicembre 1943, i sette fratelli Cervi e Quarto Camurri vennero fucilati al poligono di tiro di Reggio Emilia, come rappresaglia per l’uccisione di un gerarca fascista.

Il padre Alcide sopravvisse ai figli e trasformò il dolore in testimonianza, diventando una delle voci più forti della memoria antifascista italiana. Celebre il suo invito a “guardare il seme”, non l’albero abbattuto: l’ideale di libertà non muore con chi lo incarna.

Un simbolo che parla ancora oggi

Negli anni, la pastasciutta antifascista è diventata un rito laico e popolare. Viene organizzata da associazioni, comuni, circoli culturali e cittadini come momento di incontro e riflessione. Mangiare insieme un piatto semplice significa ricordare che la democrazia nasce da gesti concreti, accessibili a tutti, e che l’antifascismo non è solo memoria storica ma pratica quotidiana.

In un tempo in cui la storia rischia di essere ridotta a slogan o di essere dimenticata, la pastasciutta antifascista continua a parlare con un linguaggio universale: quello del cibo condiviso, della comunità, della scelta di stare dalla parte della libertà. È il racconto dei fratelli Cervi che si fa presente, ogni volta che qualcuno apparecchia una tavolata aperta e dice, senza retorica, che certe idee non possono essere fucilate.


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