Nove arresti, chi sono gli indagati finiti in carcere: oltre a Mohammad Hannoun ecco gli altri nomi

Nell’operazione di polizia e guardia di finanza che ha portato in carcere nove persone, gli investigatori contestano un presunto sistema di raccolta fondi presentato come umanitario ma ritenuto in larga parte destinato a finalità illecite di finanziamento ad Hamas

Un gruppo di nove persone finite in carcere e un’accusa pesantissima: aver alimentato, attraverso un sistema di raccolte e trasferimenti di denaro, un circuito ritenuto collegato a Hamas. È il cuore dell’operazione condotta da polizia e guardia di finanza, che secondo la ricostruzione investigativa avrebbe avuto come baricentro anche Genova, dove opera e ha sede una delle principali associazioni citate nell’inchiesta, l’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese.

Gli inquirenti descrivono un meccanismo che, nelle intenzioni dichiarate, sarebbe stato impostato come sostegno umanitario alla popolazione palestinese, ma che – sempre secondo l’ipotesi accusatoria – avrebbe destinato una quota rilevantissima delle somme a finalità illecite. Nel comunicato diffuso dagli investigatori si parla, in particolare, di fondi raccolti “a fini umanitari” in diverse località italiane e anche all’estero; la tesi dell’indagine è che oltre il 71% di quelle risorse sarebbe confluito verso il finanziamento diretto dell’organizzazione o verso realtà ritenute collegate.
La “cellula italiana” e i presunti ruoli operativi
Oltre al nome più noto, quello di Mohammad Hannoun, indicato come figura centrale dell’associazione e del presunto sistema di raccolta, il comunicato fornisce un elenco dettagliato degli altri arrestati e dei ruoli che vengono attribuiti a ciascuno nella ricostruzione investigativa.
Tra gli arrestati c’è Ra’Ed Hussny Mousa Dawoud, descritto come referente in Italia e stretto collaboratore di Mohammad Hannoun. Gli investigatori lo indicano come dipendente dal 2016 dell’associazione e come corresponsabile della filiale milanese.
Nel gruppo vengono citati anche altri tre lavoratori o collaboratori dell’associazione, considerati parte della struttura operativa contestata: Raed Al Salahat, indicato anche come componente del consiglio direttivo della European Palestinians Conference e referente per Firenze e la Toscana; Yaser Elasaly, descritto come responsabile – insieme a Dawoud – della sede milanese; e Jaber Abdelrahim Albustanji Riyad, anch’egli inserito dagli investigatori nel perimetro dei presunti soggetti attivi nella raccolta e promozione.
In carcere è finito inoltre Osama Alisawi, che viene indicato come membro di Hamas e figura già presente in contesti di governo locale nella Striscia di Gaza: per la ricostruzione degli inquirenti avrebbe rivestito un ruolo di rilievo, anche in relazione alle richieste di sostegno economico.
Secondo l’accusa, questo nucleo di sei arrestati – Mohammad Hannoun, Ra’Ed Hussny Mousa Dawoud, Raed Al Salahat, Yaser Elasaly, Jaber Abdelrahim Albustanji Riyad e Osama Alisawi – avrebbe concorso nel tempo a movimentare e indirizzare somme complessive quantificate dagli investigatori in circa 7 milioni e 280 mila euro.
Gli altri tre arrestati: “concorso esterno” e la rete delle associazioni
Gli ultimi tre nomi nell’elenco degli arrestati sono Adel Ibrahim Salameh Abu Rawwa, Khalil Abu Deiah e Saleh Mohammed Ismail Abdu. Per loro la contestazione viene descritta come concorso esterno: secondo gli investigatori, pur non facendo parte dell’organizzazione, avrebbero garantito continuità al supporto economico.
In questa parte della ricostruzione tornano le associazioni che, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero costituito la struttura attraverso cui raccogliere e far transitare i fondi. Vengono citate l’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (A.b.s.p.p.) e l’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese – Organizzazione di volontariato (A.b.s.p.p. O.d.v.), entrambe con sede a Genova, oltre all’Associazione benefica La Cupola d’Oro, fondata nel dicembre 2023 e con sede a Milano. In base a quanto riportato, Khalil Abu Deiah risulta il legale rappresentante di quest’ultima.
Il passaggio decisivo: dall’aiuto umanitario ai sospetti degli investigatori
Il punto più delicato dell’intera vicenda è la frattura tra l’etichetta con cui le raccolte sarebbero state presentate e la destinazione ipotizzata dagli inquirenti. L’accusa sostiene che le somme venissero promosse come aiuto alla popolazione palestinese, ma che una parte maggioritaria finisse verso canali ritenuti riconducibili al finanziamento illecito. È su questo snodo, insieme ai rapporti tra i vari soggetti indicati e ai trasferimenti ricostruiti, che si giocherà la tenuta dell’impianto accusatorio.
L’indagine è nella fase in cui le misure cautelari segnano un’accelerazione ma non chiudono il percorso: toccherà ora agli interrogatori, alle verifiche e ai successivi passaggi giudiziari stabilire la consistenza delle accuse e le responsabilità individuali. Resta ferma la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva.
Se non volete perdere le notizie seguite il nostro sito GenovaQuotidiana il nostro canale Blusky, la nostra pagina X e la nostra pagina Facebook (ma tenete conto che Facebook sta cancellando in modo arbitrario molti dei nostri post quindi lì non trovate tutto). E iscrivetevi al canale Whatsapp dove vengono postate solo le notizie principali




Devi effettuare l'accesso per postare un commento.