Morte di Roberta, per i giudici non c’è stato dolo ma solo colpa. La famiglia Repetto pronta al ricorso in Appello

Il caso di Roberta Repetto ha scosso l’opinione pubblica e ha portato alla condanna a tre anni e quattro mesi del “santone” del centro olistico Anidra Paolo Bendinelli e del medico bresciano Paolo Oneda, accusati di omicidio colposo per la morte della donna avvenuta dopo l’asportazione di un neo e la cura con tisane zuccherate e meditazione. La psicologa Paola Dora è stata invece assolta

Le motivazioni della sentenza, depositate ieri, spiegano che la responsabilità dei due imputati è colposa e non dolosa, poiché non vi sono riscontri in atti circa il fatto che si sarebbero rappresentati la morte di Roberta Repetto come probabile evento successivo all’iniziale condotta di asporto del neo. Seppur vi sia stata una sottovalutazione del rischio da parte dei due imputati, nonostante i ripetuti segnali provenienti dalla Repetto circa le sue condizioni di salute, i sintomi che la stessa mostrava non poteva in alcun modo far pensare che sarebbe deceduta in conseguenza dell’asportazione del nevo. Secondo il giudice, quindi, non c’è stato dolo.
Il giudice spiega che il dolo eventuale ricorre quando chi agisce si rappresenta come gravemente possibile, sebbene non certa, l’esistenza dei presupposti della condotta, ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare ad essa, accetta che il fatto possa verificarsi, decidendo di agire comunque. Tutto questo non è successo nel caso di Roberta Repetto.
Il giudice cita inoltre la letteratura medica per spiegare che le linfoadenopatie inguinali sono ordinariamente riconducibili a una lunghissima lista di malattie infettive, immunologiche o a patologie infiammatorie e solo in rari casi sono sintomatiche di un processo metastatico dovuto alla presenza di una patologia tumorale quale il melanoma.
Secondo la sentenza, se il medico Oneda si fosse realmente confrontato con l’evento morte e vi avesse in qualche modo aderito al fine di tutelare sé stesso, non si spiegherebbe il suo cambio di atteggiamento in data 30 settembre 2020. Data in cui il medico , a fronte delle gravissime e irreversibili condizioni di salute di Repetto, non ha continuato a rimanere inerte, ma ha informato la stessa dell’estrema gravità della situazione, convincendola a recarsi in ospedale per sottoporsi ad esami ed al successivo ricovero. «Sussiste quindi anche per l’Oneda – si legge nella sentenza – il ragionevole dubbio che lo stesso non si sia reso conto fino all’ultimo della grave patologia che affliggeva Roberta Repetto e, laddove se ne fosse acconto, si sarebbe immediatamente attivato al fine di provare a convincerla ad avviarsi verso un adeguato percorso clinico-diagnostico».
In conclusione, la sentenza sottolinea l’incredibile sottovalutazione del rischio da parte dei due imputati, ma allo stesso tempo afferma che i sintomi mostrati dalla Repetto non potevano far pensare che la stessa sarebbe deceduta in conseguenza dell’asportazione del nevo. La morte della donna è stata quindi causata da una serie di circostanze e di errori di valutazione che hanno portato alla tragedia.
La famiglia Repetto è pronta a preparare il ricorso alla corte d’Appello: «Rimaniamo certi che la giustizia proseguirà, inevitabile, il suo corso. Abbiamo letto le motivazioni, ci stiamo confrontando con i nostri legali. A una prima sommaria lettura emergono contraddizioni e una sottovalutazione del fenomeno della manipolazione mentale nonostante la copiosa letteratura scientifica che dimostra le dinamiche di plagio e le perizie psichiatriche ordinate dalla Procura di Genova. Inoltre chi, lucidamente, si sarebbe sottoposto ad un intervento senza anestesia in un luogo non sterile, senza preventivamente consultarsi con i suoi parenti e decidendo di non chiedere i giusti aiuti a seguito delle successive sofferenze solo sul sentito dire di qualcuno? Forse quel qualcuno aveva così potere da annientare il potere personale di scelta? Chiediamocelo tutti».
Intanto la sede del centro Anidra, situato a Borzonasca, è stato venduto all’asta per la somma di 220.500 euro. Il centro, teatro della tragica vicenda di Roberta Repetto, era stato chiuso nel 2019. L’asta si è svolta nelle scorse settimane e l’aggiudicazione è stata effettuata ad un’impresa edile che ha dichiarato di voler destinare il luogo a scopi sociali.
La sorella di Roberta, Rita Repetto, ha deciso di onorare la memoria della sua cara scomparsa. Nei giorni scorsi, infatti, ha fondata l’associazione a promozione sociale “La pulce nell’orecchio”. L’associazione ha come obiettivo principale la prevenzione e il contrasto della violenza di genere di ogni forma e tipo, con particolare attenzione al fenomeno della violenza psicologica.
La scelta del nome dell’associazione, “La pulce nell’orecchio”, è stata dettata dal desiderio di far comprendere quanto sia importante ascoltare le vittime di violenza e di credere alle loro parole. Spesso, infatti, la violenza psicologica è sottovalutata e ignorata, ma è altrettanto dannosa quanto la violenza fisica.
L’associazione ha già programmato una serie di iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tematica della violenza di genere e a fornire supporto e assistenza alle vittime. Tra le attività previste ci sono incontri, seminari, workshop e la creazione di un centro di ascolto.
«Cercheremo con tutte le nostre forze di contrastare la violenza in ogni sua forma e proveremo ad aiutare chiunque a riconoscere i comportamenti tipici di chi sta entrando in una dinamica settaria, perché quanto accaduto a Roberta non accada mai più» dice Rita.
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