In Sottoripa apre la moschea dei bengalesi. Maiolese: “Punta anche a salvare Genova dagli effetti negativi della cattiva gestione dei mini market”
Sono 800 i cittadini bengalesi che pregheranno (in parte lo stanno già facendo) nei locali di Sottoripa (nel palazzo “nuovo”) che sono stati dell’associazione egiziana e che ora sono oggetto di una ristrutturazione che li porterà a diventare un centro di preghiera vero e proprio a cui faranno riferimento molti stranieri islamici provenienti dal Banghlades, la cui presenza a Genova è in aumento esponenzialese. Per la prima volta hanno, dunque, un luogo in cui pregare che sarà solo loro, anche se, ovviamente, sono ammessi tutti i fedeli musulmani. Alfredo Maiolese, italiano convertito all’Islam e ambasciatore dell’organizzazione “Parlamento mondiale per la Sicurezza e la Pace”, che ha accettato di dare una mano agli stranieri con i quali condivide la fede, ritiene primari due obiettivi: integrare la comunità bengalese, ma anche ridurre i disagi che alcuni cittadini di quel paese che ormai abitano in Italia impongono, di fatto, all’intera città. <Sono genovese – dice Maiolese – e non sono contento che comportamenti non corretti da parte di alcuni cittadini di questa nazionalità creino disagi ai miei concittadini, causando, nel contempo, molti problemi anche a se stessi e danneggiando il processo di integrazione>. Il problema ha un nome: “mini market”, i piccoli supermercati di quariere spuntati come funghi a partire dalla liberalizzazione nazionale del commercio, bastando ormai una semplice dichiarazione di inizio attività. Negozi che non di rado si sono trasformati nello spaccio indiscriminato di alcolici che, è bene ricordarlo, la tradizione musulmana non accetta. L’abituale e ripetuta (verbali della polizia municipale, della polizia di stato e dei carabinieri alla mano) vendita di sostanze alcoliche anche ai minorennie addirittura a chi ha meno di 16 anni sta diventando una piaga in città. Nella sola via San Donato, nel cuore della movida, i casi di flagranza di vendita a minori di 16 anni (quindi con risvolti anche penali) sono almeno tre in un solo mese. I comportamenti non virtuosi sono troppi e ripetuti, secondo uno schema consolidato un po’ in tutta la città, tanto che, oggi, i cittadini del paese orientale vengono genericamente visti con preoccupazione dagli italiani così come ogni saracinesca che alzano. In poco tempo sono riusciti a metter su decine di attività, passando (a seguito del divieto di vendita di alcolici nel centro storico imposto da un’ordinanza del Sindaco) dal commercio alla ristorazione e alla gestione di pubblici esercizi che possono restare aperti fino all’una dalla domenica al giovedì e fino alle 2 il venerdì e il sabato mentre i negozi devono chiudere inderogabilmente alle 21.
Maiolese dice di sapere bene che è dalla cessazione di ogni disagio portato al territorio che può partire un percorso credibile di avvicinamento. <Bisogna abbattere i muri dell’intolleranza e del pregiudizio favorendo l’integrazione> dice. E tutto questo passa anche per la consapevolizzazione dei bengalesi a proposito delle leggi e dei regolamenti che, come tutti, devono rispettare. La diversità della lingua è in questo una forte difficoltà. Oggi la diffidenza da parte dei genovesi è massima e bisogna costruire un processo virtuoso che avvicini la comunità straniera ai residenti eliminando gli atteggiamenti scorretti. Nel centro islamico bengalese, quindi, non solo preghiera, ma anche corsi di italiano, educazione civica e legalità che rappresentino un accompagnamento reale all’integrazione e alla pace: questo l’impegno di Maiolese. La comunità che è nata in Sottoripa si chiama Genova Da’wa Centre. Maiolese traduce la parola Da’wa con “incontro”, comunicare per favorire il dialogo. In senso stretto ha il significato di richiamo, appello, propaganda, “invitare il prossimo all’Islam”.
<Per dimostrare la nostra buona fede – prosegue il portavoce italiano dei bengalesi – abbiamo offerto alle forze di polizia di installare telecamere nel centro di preghiera, perché non abbiamo nulla da nascondere e per questo ci sottoponiamo ben volentieri ai controlli>. Non sarà facile il compito di Maiolese, perché l’apertura dei mini market e il costante e ripetuto mancato rispetto delle leggi italiane sulla somministrazione (che è vietata ai negozi e, comunque, ai minori e agli ubriachi) ha creato una forte diffidenza da parte della popolazione del centro storico per la quale quasi ogni saracinesca alzata si è tradotta in un degrado della zona circostante (con tanto di crollo verticale dei valori immobiliari), frenato solo dalle regole fortemente restrittive che il Sindaco è stato costretto a introdurre in tema di orari, visto che fino ad ora ogni appello rispettare il territorio è risultato vano. Per contro, a Genova esistono anche imprenditori bengalesi presenti da parecchi anni e che gestiscono aziende sane di ristorazione, come il ristorante di via Lomellini e quello, a tre piani, in via San Vincenzo. Bisognerà vedere quindi se il difficile lavoro che Maiolese dice di voler fare porterà il gruppo dei bengalesi “virtuosi” ad essere un esempio per i connazionali e se i disagi, ormai registrati non solo nel centro storico, spariranno. Solo da lì può cominciare ogni realistico percorso di integrazione e di “pace” tra la comunità bengalese e la città. Ora non resta da capire se Maiolese riuscirà nel suo intento e come la popolazione del centro storico prenderà la novità della trasformazione del centro culturale egiziano in una vera e propria sala di preghiera che si aggiunge alle molte “mini moschee” già presenti nella città vecchia.
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