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Il turismo e quel pezzo di Genova che non ci crede ancora

Musei e ristoranti chiusi, ieri, nonostante gli alberghi fossero pieni al 75%. I turisti si sono riversati al Ducale e all’Acquario. A mezzogiorno vagolavano in cerca di cibo e si mettevano in coda al panificio di via Canneto il Curto per mangiare almeno un po’ di focaccia. In serata, anche quasi tutta la movida “chiusa per ferie”. E i visitatori chiedevano toast nei bar delle Erbe, tutti aperti

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di Monica Di Carlo

No, Genova non ce la fa proprio a pensarsi città turistica fino in fondo. Ha fatto passi avanti, è vero. Il segno evidente che la sua vocazione si sta delineando con maggiore convinzione è l’allungamento del tempo di permanenza dei visitatori. Per un certo periodo abbiamo avuto soprattutto turisti mordi e fuggi, brianzoli in arrivo con i loro suv a intasare i posteggi del Porto Antico, a visitare l’Acquario per poi girare sui tacchi (pardon, sulle ruote) entro sera, bassopiemontesi giunti in treno con il pranzo al sacco che non uscivano dai cancelli dell’Expo e se ne tornavano a Principe entro sera. Al massimo i turisti “leisure” (quelli che vengono in città per trascorrere ore di vacanza, tra musei, passeggiate, concerti e serate nei locali o al ristorante) passavano a Genova una sola notte, tutto questo mentre le presenze del turismo congressuale e di affari erano drammaticamente in picchiata per il pressoché totale annullamento dell’industria pubblica a Genova e mentre l’evento di punta, quello che per anni è stato l'”alta stagione” unica della città, il Salone Nautico, si stava sgretolando. Va dato atto agli albergatori di averci messo del loro, di averci investito. Fino a quel momento erano accusati di essere solo capaci a far impennare le tariffe proprio durante la manifestazione dedicata alla nautica, ma a un certo punto hanno cominciato ad abbassare i prezzi, anche di percentuali a due cifre. Quest’anno il prezzo pieno è stato tenuto solo in un paio di occasioni ed è già un miracolo che sia accaduto, dopo anni in cui le occupazioni delle camere difficilmente superavano il 50%.
In queste feste natalizie, le cose sono cambiate. Per Genova questo non è mai stato un periodo di alta stagione, anzi. Non esistono più fondi pubblici da bruciare in un solo evento, il concertone di Capodanno. È una cosa che non si può fare quando il Sociale sta su per l’incrocio dei venti, con risorse sempre più limitate, quando bisogna investire tutto nelle caditoie abbandonate per anni, decenni, al degrado, perché ogni pioggia può diventare alluvione. Certo, ha aiutato anche il fatto che tutte le mete a medio raggio del sud del Mediterraneo siano diventate “a rischio Isis”, che la gente non se la senta più di trascorrere la fine dell’anno in Tunisia piuttosto che nei villaggi turistici egiziani e che resti in Europa. Genova ha saputo approfittare della contingenza. La promozione è migliorata e va dato atto all’assessore al turismo e alla cultura del Comune Carla Sibilla di aver lavorato più da tecnica della promozione che da politico dopo un lungo periodo in cui tempi in cui il tema era residuale per le amministrazioni, in cui non si investiva sul settore perché, fondamentalmente non ci si credeva, in cui la “città dei camerieri”, contrapposta a quella dell’industria pubblica, era vista come il Male con la M maiuscola. Poi c’è stato un periodo successivo in cui la politica ha fatto finta di credere nel turismo, continuando a non crederci troppo e a non investirci, a promuovere azioni vecchie, più adatte a soddisfare le esigenze (vecchie anche quelle) di operatori che tenevano più al pacchetto di brochure stampato “aggratis” e al finanziamento di eventi in cui potevano andare all’estero a promuoversi a incontri B2B (business tu business) senza accorgersi che ormai più di metà del turismo si faceva su internet. Di mezzo ci sono stati la chiusura degli uffici turistici provinciali e il passaggio ai sistemi turistici locali grazie ai quali il pubblico e il privato dovevano concorrere alla promozione. Col senno di poi possiamo dire che sono stati un vero fallimento, tempo e risorse sprecate. E, nel frattempo, gli assessori (non solo quelli comunali) continuavano a produrre una promozione poco convincente, residuale, fatta di eventi locali e spesso pure ideologici. Per capirci, roba che non convinceva i genovesi e, tantomeno, i potenziali visitatori. Abbiamo avuto il “periodo Ekaterinburg”, che, per chi non lo sapesse, è una città industriale da un milione e mezzo di abitanti collocata negli Urali. Sembrava che tutti i turisti dovessero arrivare tutti da lì, tanto che il via vai di funzionari e assessori comunali (e non solo), a volte con imprenditori al seguito, tra la Superba e la città russa aveva la frequenza di un bus della linea 18 durante l’ora di punta. Nel frattempo i mercati più vicini, più concreti, quelli che fanno i grandi numeri nei bilanci di fine del turismo genovese, venivano semi abbandonati, tutto questo quando le mete (allora) emergenti del sud del Mediterraneo facevano man bassa. Poi, per fortuna nostra, anche la Russia è piombata nella grande crisi e nessuno ha più potuto raccontare la favola dell’investimento per portare a Genova frotte di benestanti ex sovietici dalle mani bucate. Se qualcuno di questi è arrivato, è stato fondamentalmente per sbarcare nei cinque stelle della riviera e fare man bassa nei negozi di Santa Margherita e Portofino.
Una prima svolta è arrivata quando l’allora assessore Gianni Vassallo ha concordato con le imprese dell’ospitalità turistica una tassa di soggiorno. provvedimento solitamente osteggiato dagli albergatori (in certi luoghi italiani ci sono state vere e proprie battaglie contro le amministrazioni) e, invece, gradito ai nostri che, con lungimiranza, hanno visto la possibilità di investire in promozione, oltre che in opere utili a migliorare l’accoglienza turistica. Ha funzionato, tanto che ora i proprietari degli hotel genovesi chiedono con forza all’assessore Sibilla di rinnovare l’accordo per i prossimi cinque anni. Il “cambio generazionale” degli albergatori, insieme alla fortuna che all’assessorato comunale sia arrivata una tecnica che mette gli eventi in fila uno dopo l’altro facendo i conti con le ristrettezze di bilancio e interpretando sia la vocazione di città d’arte di Genova sia i nuovi orientamenti del turismo hanno fatto sì che le notti di permanenza passassero da 1 a 2,5 in un periodo come questo, che per la città è sempre stato bassa stagione. In questi giorni, le camere degli hotel sono state piene tra il 75 e il 100%. Questo risultato è stato ottenuto anche grazie presenza ai vertici di Palazzo Ducale Fondazione per la cultura di Luca Borzani, lo storico che ha dato concretezza all’offerta cultuale e turistica della città, l’ex professore di sinistra che, esempio unico in città, ha saputo coniugare cultura e promozione in chiave imprenditoriale (dove per impresa si intende non solo il Ducale, ma tutto il turismo della città), senza dimenticare la funzione sociale e la necessità, da troppi dimenticata, che la cultura sia accessibile a tutti, vedi i molti eventi a ingresso gratuito e le giornate di gratuità anche delle mostre più importanti, oltre agli sconti per i genovesi e per gli studenti. Oltre a garantire l’apertura fino alle 2 del mattino della mostra principale nella notte di San Silvestro, Borzani ha anche fatto in modo che il Palazzo fosse aperto ieri. Per il resto, a parte il Mu.MA, tutti i musei genovesi sono rimasti chiusi mentre branchi di turisti si aggiravano alla ricerca di qualcosa da fare oltre che di qualcosa da mangiare, visto che la gran parte dei ristoranti e dei bar era chiusa. I turisti si sono messi in coda davanti al panificio di via Canneto il Curto, uno dei pochi posti di ristoro aperti, nonostante si sapesse che la presenza turistica in città sarebbe stata altissima. Perché è vero che non si può imporre a un imprenditore di lavorare in perdita e nemmeno di investire in personale per costruire un servizio turistico adeguato (anche se chi lo ha fatto ha vinto la scommessa), ma in una giornata come quella di ieri, il guadagno sarebbe stato assicurato. Molti i locali chiusi anche nella zona della Movida, ieri sera. I turisti si sono affollati alle Erbe, dove quasi tutto era aperto, per un toast e un aperitivo e i tavolini interni ed esterni erano gremiti.

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Certo che non abbiamo dato una bella immagine della città a chi ha deciso di fermarsi una notte in più. Musei chiusi, ristoranti chiusi, locali chiusi fanno comprendere quanto ci sia ancora da fare per trasformare veramente Genova in una città turistica. Bisognerebbe partire da qui e dalla mentalità di certi funzionari comunali che non ce la fanno a fare il salto da burocrati a collaboratori di un processo di sviluppo che passa per il turismo, ma è industriale, quelli che nel sito VisitGenova hanno liquidato l’iniziativa della notte di Capodanno del Civ delle Erbe (lo stesso luogo che ieri ha saputo dimostrare che gli operatori che hanno lì le proprie imprese sanno essere presenti e pronti a offrire servizi) con tre parole imprecise e hanno aggiunto, buon peso un inutile e per di più scorretto riferimento “geografico” accostando il nome della piazza a vico dei Biscotti, dove qualche settimana fa è avvenuto un omicidio riferibile al mondo della droga. In tanti devono cambiare l’approccio per fare di questa città un vero luogo turistico.

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