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Cantieri “eterni” dello scolmatore e indennizzi mai arrivati: così Ornella ha dovuto chiudere il suo bar e ha perso il lavoro

Il locale di via Emilia, soffocato dalla perdita di parcheggi e dal prolungamento del cantiere, ha abbassato le saracinesche a luglio. La titolare non ha mai ricevuto gli indennizzi che in altre zone il Comune aveva concesso, oggi vive di lavori saltuari e cerca un impiego a tempo pieno, possibilmente nel settore dove ha maturato anni di esperienza dietro al banco

C’è un tipo di bar che non è solo un’attività: è un ritmo. È il caffè preso al volo prima del lavoro, la pausa di metà mattina, la sosta di chi passa in auto o in moto e sa di poter fermarsi “un minuto”. In via Emilia 46 C, quel posto era il bar di Ornella. Gli affari andavano bene perché il locale viveva di passaggio: la gente arrivava, parcheggiava nei pressi, entrava. Un gesto semplice, quotidiano.

Poi, nel febbraio 2021, è cambiato tutto.

Con l’avvio del cantiere dello scolmatore e l’installazione delle barriere, è sparita la fila di posti auto sul lato destro della strada. Non un dettaglio, ma la condizione essenziale per quel tipo di attività. Quando una sosta diventa impossibile, non si perdono solo i parcheggi: si perdono le persone, le aziende, il lavoro.

«Davanti al bar avevo la fermata dell’autobus e due posti carico scarico merci», racconta Ornella. Tra barriere e spazio ridotto, posteggiare è diventato un miraggio. I pochi posti rimasti nei dintorni – come accade ancora oggi – erano occupati dalle auto dei residenti. Legittimo, inevitabile. Solo che per chi arrivava da fuori, per chi voleva una sosta veloce, non c’era più nulla. E senza sosta, quel bar ha iniziato a svuotarsi.

All’inizio è stata una flessione. Poi un calo più netto. Poi una discesa lenta e continua, giorno dopo giorno, fino a vedere i guadagni quasi azzerarsi. Non è una storia fatta di numeri grandi: è una storia fatta di abitudini che si spezzano. E quando le abitudini si spezzano, un locale resiste per un po’, ma non all’infinito.

Resistere quattro anni – quelli previsti inizialmente, con fine lavori fissata per il 2024 – sarebbe già stato durissimo. Ma il calendario del cantiere ha cominciato a spostarsi. Tra problemi burocratici e legali, come le interdittive antimafia che hanno colpito alcune aziende del consorzio, il cambio di assetto del raggruppamento di imprese e l’attesa della talpa meccanica indispensabile per gli scavi, il traguardo si è allontanato. Fino a un nuovo orizzonte: 2027.

Tre anni in più, per un’attività già allo stremo, sono una sentenza.

Ornella racconta di aver scritto qualche mese prima all’allora sindaco Marco Bucci per chiedere un indennizzo, ricordando che in altre zone rimborsi erano stati riconosciuti. «Lui rispose che era possibile e passò la questione agli assessori competenti, ma l’indennizzo non è mai arrivato nonostante lo abbia più volte sollecitato e ho dovuto chiudere».

Il 31 luglio scorso ha abbassato la saracinesca. Una data che non è solo una chiusura commerciale: è la fine di una quotidianità fatta di turni, clienti abituali, fatica e orgoglio. È anche il segno di cosa succede quando un cantiere si allunga e, nel frattempo, chi lavora lì intorno resta solo a reggere il peso.

Oggi Ornella fa mille lavori precari per sopravvivere e cerca un lavoro a tempo pieno, magari collegato alla sua lunga esperienza dietro al banco. Perché quel mestiere non si cancella con una serranda chiusa. Resta addosso, insieme a una domanda che in molti, in queste strade, si fanno sottovoce: quanto può costare davvero un cantiere “eterno” a chi vive di passaggio? E perché, quando si chiede un aiuto per non affondare, la risposta spesso arriva troppo tardi — o non arriva affatto?


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