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L’ego ipertrofico della bandiera di San Giorgio e il minimalismo del 25 aprile (ma, per fortuna, quest’anno ci siamo evitati la coccarda dell’Iran)

A far notare, sui social, la disparità di trattamento è la storica dell’arte Anna Maria Dagnino che invoca, almeno, la par condicio anche se, dice citando Maggiani, «il 25 aprile è il dies natalis della nostra repubblica e dunque si colloca ad un livello diverso» e, quindi, meriterebbe qualcosa di più

Palazzi pubblici pressoché rifasciati di enormi bandieroni bianchi con la croce rossa per la neofesta di San Giorgio, minuscole coccardine per la festa della Liberazione, come unico segno del giorno che sta all’origine della nostra repubblica (poi consacrata dal referendum) e della nostra Costituzione e che ha liberato dal regime l’Italia. Sono stati in molti a notarlo, prima tra tutti, proprio Anna Maria Dagnino, già assessore provinciale e comunale, che ha postato il confronto sui social.

In effetti, per vedere le coccarde su Palazzo Ducale bisogna aguzzare la vista (o allungare il teleobiettivo), mentre è impossibile non notare il vessillo che ricorda San Giorgio.

Qualcosa è cambiato, perché, almeno su Palazzo Ducale, negli anni passati, la per condicio era rigorosamente garantita con due striscioni verticali, uguali per forma e dimensione.

Almeno, però, quest’anno ci siamo evitati che al posto delle coccarde dell’Italia, fossero esposte quelle dell’Iran. No, non è una battuta. È quello che è successo lo scorso anno, sia il 25 aprile, sia il 1º maggio a causa di forniture comunali un pelo inadeguate.

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