Oggi a Genova 

Le signore di Genova Jeans ai ferri corti. Orlando fa un post e tagga 51 persone. L’ideatrice Arata: «Hai dimenticato il mio nome»

L’ideatrice di Genova Jeans vede il post su Facebook della curatrice generale e non ci sta: «Ti sei dimenticata di taggare me, Anna Orlando, che mi sono inventata e ho sviluppato in ben 6 anni di lavoro e di progettazione GenovaJeans e le sue ricadute, un’iniziativa così bella, che ti ha dato modo di mettere in luce le tue capacità. In questa città c’è questa strana abitudine…»

La voce che le due signore di Genova Jeans, la presidente del Comitato promotore e la “curatrice generale” (quasi fosse una mostra d’arte) e consulente del sindaco Marco Bucci, fossero ai ferri corti girava da un pezzo. E, in effetti, nei post e persino nei comunicati (lo avevamo notato e fatto notare in precedenti articoli) più volte era misteriosamente scomparso il nome di Manuela Arata che, tra l’altro, è anche proprietaria del marchio e del nome dell’iniziativa.

Il malvezzo di far sparire i “non graditi”, ha ragione Arata, è purtroppo parecchio diffuso in questa città. È successo e succede anche per Serena Bertolucci, direttrice in scadenza e non rinnovata della Fondazione per la Cultura Palazzo Ducale. Nei comunicati successivi al “divorzio”, il suo nome viene spiacevolmente e molto poco elegantemente “dimenticato” nei comunicati anche per quanto riguarda iniziative da lei allestite (tutte, praticamente), in primis il programma del prossimo anno della stessa Fondazione, Genova Capitale del Libro (bando che Genova ha vinto proprio grazie al progetto preparato da Bertolucci con un altro consulente del Sindaco, Giacomo Montanari) e il Book Pride.

Per tornare ai post su Facebook, Anna Orlando celebra l’iniziativa, quest’anno scorsa via con meno polemiche perché ha mantenuto il low profile risultando poco più di una festa di quartiere, con eventi fotocopia rispetto alla prima edizione e in qualche caso anche in tono minore rispetto a quelli della passata edizione di due anni fa. La consulente di Marco Bucci tagga ben 51 persone, tra cui diversi assessori e una serie di giornalisti a lei graditi. Ma la fondatrice non viene nemmeno nominata.

Arata, con eleganza (va detto), ma altrettanto sarcasmo, condivide il post e le presenta pubblicamente il conto dello sgarbo e mette così fine al lavaggio in casa dei panni (di jeans, naturalmente) sporchi.

Le chat del mondo politico genovese sono roventi. Lo screen del post dell’ideatrice di Genova Jeans viene ampiamente commentato (non solo a sinistra, anzi…) tra frecciate ed emoticon che ridono. In tanti aggiungono aneddoti sui contrasti tra le due e anche episodi più o meno recenti di conflitti di Orlando con altri soggetti (non solo donne) del più generale ambiente “istituzionale” e del mondo che gira attorno.

È questa l’ultima ciliegina al veleno sull’amara torta di una manifestazione basata, secondo molti, su una buona idea, ma organizzata – nel primo caso – in maniera non consona all’ampio risalto che prometteva un evento nazionale e internazionale e, nel secondo, in tono minore, nonostante le grosse cifre investite (quest’anno si parla di 800 mila euro) e con la falsa partenza della festa in jeans a Villa Serra di Comago a cui ha partecipato solo qualche decina di persone, come testimoniano le foto pubblicate dalla stessa amministrazione comunale. Folle oceaniche non se ne sono viste né al party né nei quattro giorni della manifestazione. Ragionevolmente, o si trova una formula diversa o sarà difficile giustificare l’impiego di tanto denaro dopo il secondo flop di fila. Ed è un peccato che sia andata così, perché l’idea di base era davvero buona.

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