Oggi a Genova 

Colpo grosso all’apiario: rubate 750mila api. Azienda in ginocchio. Gara di solidarietà

Nuove frontiere della criminalità: è successo qualche giorno fa, quando, nel giro di qualche decina di minuti, sono sparite le arnie. Il bottino vale circa 4mila euro più il tempo impegnato per la selezione e la cura, più il mancato introito per circo 200 chili di miele entro l’estate

L’azienda si chiama “Miele del Bosco di Savona” e produce miele naturale al 100%, senza alcun trattamento. Abdou Lahat Seye ne fa una filosofia di vita: «Da apicoltori sogniamo le api, la natura, l’ambiente – si legge sulla pagina Facebook – e con questi alleati produciamo anche il miele più buono del mondo». Si tratta di una piccola realtà e il furto rappresenta per essa un pregiudizio alla sopravvivenza.

«Sul mercato il bottino ha un valore alto perché le api si vendono con facilità – spiega Seye -. Noi “facciamo” api: selezioniamo regine e fuchi. In questo momento c’erano già alcune famiglie in produzione, avevano già il mielario sopra. Contavamo di produrre circa 40 chili di miele di acacia. Puntavamo, però, soprattutto sulla fioritura del castagno. Pensavamo a una produzione di circa 150 chili».

Quante api sono state rubate? «Si può cercare di quantificarle – spiega l’apicoltore -. Hanno rubato 4 casse da 80 mila api e 11 più piccole, che ne contengono tra le 30 e le 40 mila. Dietro a tutto questo c’è un lavoro che dura da tempo: selezioniamo le nostre api e ne comperiamo poche. Usiamo le nostre regine, ligustiche certificate. Siamo diventati abbastanza bravi a selezionare quelle più produttive. Selezioniamo anche i fuchi. Ci sono api che producono di più e sono più sane e questo si tramanda tramite il fuco. Se si trova una cassa più pulita delle altre, vuole dire che è in atto una più cospicua produzione di antibiotico naturale, la propoli, usata dalle api per igienizzarsi. Abbiamo isolato i fuchi di quelle casse e li abbiamo fatti accoppiare con le regine più belle. Dietro alle nostre api c’erano mesi di preparazione».

In più c’è il valore delle arnie. «Si tratta di arnie di concezione americana, che non si trovano in Europa – spiega Seye -. Le api ci stanno meglio e producono di più. Ci sembrava poco ecologico farle arrivare dall’altra parte dell’Atlantico e, anche se ci è costato di più, abbiamo deciso di prepararle da soli, modificando anche i telai standard». È stato un lavoro lungo, durato mesi, che ha prodotto arnie uniche. Quindi anche molto riconoscibili. Chi le dovesse comprare dai ricettatori si metterebbe in casa qualcosa che ne indicherebbe subito la provenienza furtiva.

«Certo, abbiamo dato un’occhiata in giro – racconta l’apicultore -. Da alcune persone della zona abbiamo saputo che alle 17 le arnie erano ancora al loro posto. Alle 19:15, quando siamo arrivati noi, non c’erano più. Sulla strada ci sono telecamere. Speriamo che i Carabinieri, a cui abbiamo denunciato il furti, possano trovare i responsabili. Noi abbiamo un problema in più: quando il furto è stato messo a segno le bottinatrici erano fuori e ora non hanno un posto dove tornare». Rischiano la morte.

«Stringiamo i denti, ma alcuni amici hanno avviando una raccolta fondi – dice Seye -. Si tratta di colleghi di lavoro e gente che ci ha sempre seguito. Io preferirei farcela con le nostre forze, perché la cosa mi mette in imbarazzo, ma sono amici e hanno insistito e, francamente, ne abbiamo davvero bisogno. Costruiremo altre arnie, ma questa volta ci metteremo dentro il gps».

Cliccando qui troverete la pagina dove è stata avviata la raccolta fondi, con obiettivo 3mila euro: il valore delle api. Certo non si può recuperare quello del lavoro impegnato, ma con nuove api si può salvare almeno in parte la produzione e consentire all’azienda di proseguire il suo lavoro. Sono già stati raccolti 1.640 euro.

Fino a qui la notizia di cronaca. Vogliamo, in più, raccontare la storia di Abdou Lahat Seye. «Il mio primo contatto è stato in Senegal e mi ha portato in ospedale – racconta l’apicultore -. Da noi le api sono animali sacri. A volte escono e si piazzano in sciame attorno ad alcuni alberi. Le persone escono dalle case a guardarle. Io mi sono spinto troppo vicino, sono stato punto e sono andato in shock anafilattico. Da quel giorno, invece di allontanarmi, sono stato attratto dalle api. Ho iniziato a guardare quelle di mio zio. Arrivato in Liguria, ho visto un documentario in cui si parlava del mestiere di apicultore e si diceva che stava scomparendo. Per un po’ non sono riuscito a togliermi dalla testa questo problema.

In Africa il miele prodotto è di mangrovia, di baobab e di acacia millefiori. Il miele più caro del mondo è quello di manuka, prodotto solo da alcuni alberi che crescono nella zona della Nuova Zelanda abitata dai Maori. È considerato un ottimo antibatterico e cicatrizzante, tanto che il popolo Maori lo utilizza da sempreQui le piante e i fiori di riferimento sono diversi. Il prezzo può persino superare i 500 euro al chilo. Qui da noi, i mieli più amati sono quelli di acacia (che non cambia il sapore degli alimenti ed è il più caro) al millefiore a quello di castagno. Quest’ultimo è quello che Seye ama di più, perché ricco di sali minerali.

Attorno alle arnie di “Miele del Bosco” ci sono tanti castagni. «Qui le api veramente bene – racconta l’apicultore -. Tanto che sulle prime pensavamo di chiamare l’aziende “Paradiso” o “Repubblica delle api”. C’è una biodiversità che gli insetti non trovano altrove. Il nostro sogno è quello di fare miele bio certificato: non ci sono vicino latifondi agricoli intensamente coltivati né passa vicina l’autostrada. Ci stiamo lavorando. Le nostre api erano sanissime. La scienza ci ha insegnato che le api si curano da sole se la disponibilità di pollini è variegata». Grazie alle persone che stanno aiutando Seye e la sua azienda, il sogno potrà continuare.

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