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La multa al clochard divide la città, ma il problema è che manca l’assistenza reale

Proviamo a uscire dal dualismo ideologico che propone, in alternanza, “vigili cattivi” e “clochard nemici della società”. Facciamo uno sforzo verso il buonsenso e verso un approccio più realistico al problema, problema che ha due facce, proprio come gli schieramenti che oggi, dopo il post di San Marcellino, opera sociale dei gesuiti, su Facebook, si stanno contrapponendo a colpi di luoghi comuni e slogan politici sui social, argomenti spesso strumentali da entrambe le parti, a volte privi di logica, che in comune hanno una sola cosa, anche se per motivi diversi: non tengono in alcun conto le condizioni dell’assistenza di carattere sociale che non era e non è, con grande evidenza, minimamente sufficiente. Insomma, non analizzano il problema reale e, quindi, le possibili soluzioni.
Sanzioni di questo genere se ne fanno diverse ogni giorno dal 2011 (come vedremo) e che San Marcellino, che lo sa da sempre, decida di commentare solo oggi, dopo 7 anni, è quantomeno curioso.

Chiariamo subito due cose.

La prima: il clochard di cui raccontano i gesuiti è stato sanzionato dalla polizia locale del reparto Viviblità e decoro – Sicurezza – verso le 22 del 4 luglio con una multa da 200 euro a norma dell’articolo 28 comma e del regolamento di polizia urbana del Comune che dice che è

(vietato) bivaccare su gradini, scalinate o scale di accesso dei monumenti,
dei luoghi destinati al culto o di importanza culturale, storica e architettonica, nonché di spettacolo/intrattenimento, per la cittadinanza e i turisti nei sottopassi e sovrappassi, e sulla soglia degli altri edifici, uffici, negozi e sedi di attività commerciali, artigianali o industriali, antistanti alla pubblica via, e/o il suolo privato a uso pubblico;

Anche l’importo della sanzione è stabilito dal regolamento: da 25 a 500 euro con pagamento in misura ridotta fissato, appunto in 200 euro come stabilito dalla deliberazione della giunta nº 00177/2011 del 23/06/2011. Di fatto, insomma, la sanzione applicata a tutti è di 200 euro. Il clochard la pagherà mai? Certo che no, allo stesso modo in cui non pagherebbe una sanzione da 10 o da 1.000 euro. Certamente l’importo non è stabilito dall’agente di polizia locale. E altrettanto certamente l’agente non si può sottrarre dal comminarla perché commetterebbe omissione.

Il regolamento comunale di polizia urbana è del 2011 ed è stato emendato nel 2013 e, infine, nel 2018. Quindi è stato approvato dal consiglio comunale ai tempi del sindaco Marta Vincenzi (Pd), modificato sotto Marco Doria (indipendente di sinistra più a sinistra del Pd) e infine sotto Marco Bucci, indipendente di destra. L’ultima aggiunta, oltre all’aumento della sanzione per chi fruga nei cassonetti, è il cosiddetto “daspo urbano”, l’ordine di allontanamento dall’area del centro (divisa in due) per due giorni sulla scorta del cosiddetto “decreto Minniti” (Pd). Non è vero, quindi, che la sanzione ai clochard sia generata da un provvedimento della destra genovese. Se si vuole che la sanzione venga abolita, non serve gettare la croce al povero agente di polizia locale al corpo che applicano norme decise dalla politica è solo la politica, se vuole, può cambiare. Esporre al pubblico ludibrio un lavoratore incolpevole è un brutto gesto.

La seconda cosa da mettere in chiaro: gli agenti di polizia locale non “inventano”. Come abbiamo visto agiscono a norma di leggi e regolamenti. Pattugliano le zone di ritrovo dei senza fissa dimora che per la natura stessa della loro vita, che sia scelta od obbligata (di questo diremo poi), causano spesso problemi di quello che qualcuno chiama “decoro”, un nome desueto che richiama modalità di repressione che lo sono altrettanto, ma in realtà si tratta di problemi di vivibilità. Spesso i senza fissa dimora spesso bevono e a volte fanno uso di stupefacenti. Quasi sempre fanno i loro bisogni per strada. Non sono rare le aggressioni tra loro. In un mese due sono balzate agli onori della cronaca, in via dei Cebà è in piazza Colombo, quest’ultima finita con uno di loro colpito alla gola da un altro col cavatappi di un coltellino svizzero e portato all’ospedale in codice rosso. Innegabile che tutto questo crei problemi igienici, di disturbo a passanti, residenti e commercianti e di ordine pubblico. È evidente che “lasciarli fare” non è possibile.
Spesso a chiamare la polizia locale, come nel caso del verbale in piazza Piccapietra, viene chiamata da cittadini, a volte abitanti, più spesso commercianti. A quel punto gli agenti devono constatare che i senza fissa dimora stiano tutti bene. In caso contrario, dalle zone del centro vengono portati all’ospedale di riferimento territoriale, il Galliera, dove i responsabili del pronto soccorso, quando si vedono capitare tra gli altri malati persone che puzzano lontano un miglio in stato di abuso di alcol (spesso il motivo del ricovero è proprio quello) storcono il naso e a volte rilasciano dichiarazioni di fuoco alla stampa. Ma dove un agente, se non lì, dovrebbe portare una persona in stato di coma etilico o di disturbi causati da alcol o abuso di sostanze psicotrope? Non esiste una struttura sanitaria specializzata.
Altre volte scatta il tso, trattamento sanitario obbligatorio, perché tra i senza fissa dimora ci sono persone con problemi psichiatrici. Meno di un mese fa uno di loro ha tentato il suicidio davanti agli agenti ai Giardini di Plastica (i giardini di plastica).

L’identikit

Il senza fissa dimora è spesso uomo sotto i quarant’anni. Italiano o straniero e tra gli stranieri c’è mezzo mondo: dell’Europa dell’Est, balcanici, nordafricani, centroafricani, europei dell’ovest e del nord in misura minore, sudamericani (soprattutto peruviani e cileni). Le donne sono pochissime (una brasiliana che gira con la tenda, un paio dell’est) se si eccettuano le romene rom, che sono parecchie. Tra i punkabbestia, spesso coi cani, ci sono ragazzi qualsiasi e figli di papà che spesso, finita l’età della protesta (sempre che droga e alcol gli permettano di superarla) rientrano nei ranghi familiari. Gli anziani sono pochi e sono quelli che più spesso trovano ricovero per la notte e assistenza.

La mappa

Del “problema clochard” si sente parlare solo in centro, forse perché c’è ne sono di più, forse perché in periferia la gente è più tollerante è disposta a capire e magari anche aiutare.
I gruppi di senza fissa dimora si dividono per abitudini e per abuso e in parte per nazionalità: il via XII Ottobre, via dei Cebà e davanti al Carlo Felice stanno gli alcolisti, per lo più provenienti da Romania e Albania e Sud America. In San Lorenzo i punkabbestia italiani ed europei di est e di ovest, alcuni dei quali saccheggiano di birra e di cibo per animali (per i loro cani) i supermercati. Ai Giardini di Plastica ci sono i tossici (fanno uso di crack) di qualsiasi nazionalità, compresi gli africani, più un anziano che sta separato dagli altri, al piano di sopra del centro dei Liguri. In piazza Colombo e zone limitrofe ci sono polacchi, gente dei territori della ex Jugoslavia, albanesi. In piazza della Vittoria ci sono colonie di Rom. In via Lomellini c’è un belga sfamato da un ristorante locale che chiede sigarette a tutti e non accetta né un tetto, nemmeno nelle fredde sere d’inverno, ne altri tipi di aiuto. A Brignole, tra la stazione e le zone limitrofe c’è un italiano con problemi psichiatrici che a volte fa il suo show in mezzo alle auto fermando il traffico. A Carignano segnalano che un gruppo di persone dedite all’alcol bevono, litigano, schiamazzano e si pestano nel pressi della rotonda e del monumento al Duca di Galliera.
Spesso i senza fissa dimora si addensano in gruppi per proteggersi da malintenzionati, poi magari si pestano tra loro per uno screzio, un brick di Tavernello, una dose di droga rubata. Scelgono luoghi spesso defilati, ma non isolati. Coperti, per proteggersi dal freddo, dalla poggia e dal vento d’inverno e dal caldo d’estate.

Vite dilaniate da storie devastanti

Quello che è chiaro è che l’assistenza non basta, anche per il moltiplicarsi dei nuovi poveri italiani e stranieri che si aggiungono a problemi di chi a fare la vita del senza fissa dimora ci è finito per storie personali di alcolismo, droga, problemi psichiatrici o, semplicemente, per ribellione. Spesso tutti questi fattori si amalgamino e non si capisca più quale sia la causa e quale l’effetto. A parlare con i clochard si scopre che c’è qualcuno che sta per strada perché ha perso il lavoro, ma, approfondendo, si capisce che il lavoro lo ha perso per l’alcolismo. Ci sono storie personali pesanti, di abusi quando erano minori. C’è gente che scappa da guerre e persecuzioni, altra che cerca di evitare di scontare parecchi anni di galera in patria o di finire ammazzato in una faida familiare o locale, sempre meno numerose le delusioni d’amore una trentina d’anni fa così frequenti. C’è un italiano tra i 30 e i 40 anni che gravita tra i giardini Baltimora e piazza Cinque Lampadi, nel centro storico, che ha già subito una condanna per maltrattamenti in famiglia (ha tentato di ammazzare la sorellastra). Ci sono pregiudicati per rissa, violenza, reati connessi agli stupefacenti e spesso taccheggi nei negozi, a volte per mangiare, a volte per rivendere la merce. Poi persone che hanno subito parecchi tso.

L’assistenza che non basta e le porte chiuse agli ubriachi

Si potrebbe parlare per ore, ma il fulcro di tutto è che l’assistenza pubblica è andata assottigliandosi nel corso degli anni, sempre più velocemente, e non basta mentre la povertà è andata aumentando. È vero che qualcuno dei senza fissa dimora rifiuta l’aiuto, specie se “despecializzato”, se non punta a comprendere e ad andare ad incidere sul vero motivo che ha spinto il clochard sulla strada, qualsiasi esso sia. Servirebbe un’azione più capillare sul territorio, bisogna mettere le persone che lo vogliono in grado di presentarsi lavate e, se del caso, sbarbate e in ordine a un colloquio di lavoro. Bisognerebbe ci fosse assistenza per chi ha problemi mentali (ma è scarsa e insufficiente anche per chi una casa la ha), servirebbero terapie contro le dipendenze. In cima a tutto servirebbe più lavoro per salvare dalla strada chi non si sottraesse a impegnarsi. Il problema non è certo la multa da 200 euro (in realtà il più forte deterrente allo stazionamento è il continuo controllo che non risolve, ma determina lo spostarsi del problema in un altro luogo), ma il fatto che la società è totalmente priva degli strumenti per dare alle persone l’occasione di riemergere.
Pregevoli sono tutte le iniziative che consegnano panini e offrono pasti ai senza fissa dimora. Ma le organizzazioni pubbliche e private che li ospitano di notte chiudono tutte troppo spesso e per questo, soprattutto d’estate, i senza fissa dimora restano per strada. Inoltre i clochard non vengono accolti se ubriachi. Molti di loro, però, è noto a tutti, sono alcolisti. Certo, sarebbe un’enorme complicazione di gestione ospitarli anche in stato di alterazione, ma, per come le cose stanno adesso, i più rinunciano all’accoglienza e dormono nelle strade della città. Vietato anche l’accesso ai cani (molti ne hanno). E, allora, è poi inutile indignarsi per una multa così come per il fatto che dormano in strada.

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