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Quando Genova distrusse il porto di Pisa grazie a un fabbro, un reportage medioevale dei tempi degli Embriaci

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di Monica Di Carlo

L’eroe del giorno si chiama Carlo Noceti e di mestiere fa il fabbro. Però, quando c’è da combattere con la flotta genovese sale sulle navi della Repubblica, anche perché un fabbro su una nave è utilissimo. Ci sono le armi da riparare e le parti della imbarcazioni corazzate da sistemare. È una fortuna che il fabbro Noceti (meglio noto come “Mastro Chiarlo) sia a bordo di una delle navi della flotta di Corrado Doria quando questa si presenta davanti al porto di Pisa alla fine di agosto del 1290 i varchi di accesso sono chiusi con le catene. Invece Carlo Noceti fa la sua proposta: scaldare gli anelli che assicurano la catena alle mura per rendere il metallo tenero e poterlo rompere.
Quello che accade viene tramandato ai posteri da un'”istantanea” dell’epoca, una fotografia fatta di marmo che entro la fine dell’anno viene murata da Nicolò Cugliano (secondo Alfredo De Andrade) o da Nicola di Guglielmo (secondo Federico Alizeri) sulla facciata della casa numero 98 del Borgo dei Lanaiuoli, in vico Dritto Ponticello (la strada che passa accanto alla “Casa di Colombo” per arrivare alle Torri di Porta Soprana), proprio la dimora di Mastro Chiarlo.

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Questa “istantanea” di marmo, questo reportage dal Medioevo, è il Bassorilievo di Portoria, uno dei tesori della mostra Genova nel Medioevo – una capitale del Mediterraneo nell’età degli Embriaci (ospitata dalla chiesa di Sant’Agostino fino al 26 giugno) normalmente esposto nel museo di Sant’Agostino.

(L’intervista video al conservatore del Museo di Sant’Agostino Adelmo Taddei)

Il bassorilievo raffigura Porto Pisano sbarrato dalle famose catene. Era il 1290 e ne erano pasati un paio dalla battaglia della Meloria, una delle battaglie navali più importanti e note del Medioevo, grazie alla quale Genova ottenne dai pisani che rinunciassero alla Corsica, ai possedimenti sardi, a San Giovanni d’Acri e s’impegnavano a pagare un’indennità enorme a garanzia della quale cedevano l’Elba. Ma questi non riuscirono o non vollero mantenere gli impegni presi e così, il 23 agosto 1290, la flotta genovese comandata da Corrado Doria salpava ancora una volta all’attacco della città rivale. Giunti a Porto Pisano, i genovesi lo trovarono difeso da due alte torri e, scrive l’Anonimo Pisano, “avute le torri le disfecieno, e disfecieno tutto il porto, e portonnone li genovesi e i lucchesi le catene delle porte“. Ci pensò Carlo Noceti che abitava a Portoria, ma era originario di Rivarolo che fece accendere dei fuochi sotto le loro enormi maglie di ferro così che, divenute incandescenti, fosse più semplice spezzarle.  L’astuta mossa suggerita dal fabbro permise loro di entrare nel porto di Pisa e di raderlo al suolo, interrandolo e cospargendolo di sale (a quell’epoca si usava così, perché non crescesse nemmeno più un filo d’erba, come i Romani avevano fatto con Cartagine), in modo da renderlo totalmente infertile ed inutilizzabile.
Da quel giorno Chiarli fu una sorta di portabandiera dei fabbri ferrai genovesi che per molti anni fecero celebrare una messa in sua memoria nella chiesa di San Siro. Nello stesso anno, come si legge nell’archivio topografico del Comune, il bssorilievo veniva murato sulla facciata di vico Dritto Ponticello dove il fabbro risiedeva. Lì rimase fino al 1935 quando fu asportato per l’attuazione del nuovo piano regolatore di Piazza Dante.

Figura tratta da "La Voce di Genova", n. XXVIII - XXIX, Settembre - Dicembre 1965
Figura tratta da “La Voce di Genova”, nº XXVIII – XXIX, settembre – dicembre 1965

Il monumento era una rappresentazione in marmo del porto di Pisa ancora sbarrato dalle sue torri e dalle  catene e si rifaceva a due altri rilievi del porto oggi murati rispettivamente sul muro a sud del coro della cattedrale pisana e al pian terreno del campanile. È possibile che i genovesi, nella loro estrema perfidia, l’abbiano fatta scolpire proprio a uno dei deportati pisani confinati a “Campus Sarzanni” (il piano sotto piazza Sarzano), diventato prontamente “Campopisano“. Secondo la tradizione in questo luogo, all’epoca appena fuori dalle mura (ancora perfettamente distinguibili in un immobile della piazza che per qualche tempo è stato un ristorante), sarebbero stati confinati migliaia di prigionieri pisani, la maggior parte dei quali, morti di fame e di stenti, sarebbero stati sepolti in quello stesso luogo. Insomma, era un campo di concentramento e un cimitero. Maestranze pisane, erano comunque già da tempo attive in Genova come ricordano i capitelli interni di Porta dei Vacca.
Le enormi maglie delle catene furono portate a Genova e appese un po’ ovunque. Alcuni anelli finirono a Lucca e a Moneglia, che avevano collaborato con la flotta guidata da Doria.

Porta Soprana di Genova ritratta alla metà del XIX secolo da Domenico Cambiaso. Al centro dell'arco pendono alcuni anelli delle catene di Porto Pisano.
Porta Soprana di Genova ritratta alla metà del XIX secolo da Domenico Cambiaso. Al centro dell’arco pendono alcuni anelli delle catene di Porto Pisano.

Le catene le abbiamo restituite nel 1860. In quell’occasione i barcaioli pisani corsero spontaneamente una regata in onore dei genovesi e da allora, seicento anni dopo la battaglia della Meloria, le enormi catene, si possono veder pendere da un muro del Campo Santo Monumentale di Pisa in Piazza dei Miracoli. Qualche anno fa, durante i lavori di rifacimento di Campopisano, si trovarono altri anelli della catena e anche quelli furono recapitati a Pisa. Restano solo gli anelli conservati a Murta e quelli di Moneglia, che però non sono più esposti e giacerebbero in un magazzino comunale e sono state tolte dalla vista dei passanti.

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(Gli anelli delle catene che si trovano ancora a Murta)

Franco Bampi, presidente dell’associazione “A Compagna”, anelli di catena sono rimasti ovunque esposti seicento anni. Bampi, sul suo sito www.francobampi.it, elenca 16 posti: la chiesa di San Torpete in piazza San Giorgio, il Palazzo del Capitano del Popolo (Palazzo San Giorgio), la chiesa di Santa Maria di Castello, la chiesa del Santissimo Salvatore (oggi auditorium universitario in piazza Sarzano), Porta Soprana, accanto al bassorilievo in Borgo Lanaiuoli, sulla Porta degli Archi, nella chiesa della Maddalena, in salita di Sant’Andrea, nella chiesa di Sant’Ambrogio (che ora non esiste più), nella chiesa di San Matteo (quella dei Doria, un cui membro della famiglia aveva capitanato la spedizione), nella chiesa di Santa Maria delle Vigne, nella chiesa di San Donato, su Porta dei Vacca nella chiesa di San Sisto a Pre’, presso la Commenda di San Giovanni di Pre’. A sua volta, Bampi ha tratto queste informazioni da “Sulle orme di Pisa per le antiche strade di Genova”, di Ugo Rimassa, Bollettino “A Compagna”, nº 4-5, luglio-ottobre 1984.

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