Senza categoria 

Quante cose non dette nascoste sotto al velo di quel barbaro burqa

Prometto e riprometto, quello del burqa in consiglio regionale non diventerà un tormentone tale e quale all’episodio, ancora irrisolto, delle frasi omofobe attribuite al consigliere leghista Giovanni De Paoli. Anche perché temo, in proposito, che la questione, non quella del burqa, ma quella dello scivolone, o presunto tale, di De Paoli possa diventare per i consiglieri regionali, così impegnati a confrontarsi sulle cose importanti della Liguria, una sorta di pietra miliare spazio-temporale. Né più e né meno che l’ante meridiem e il post meridiem o più pretenziosamente il prima o dopo Cristo.
Perciò parliamo per l’ultima volta di questa vicenda del burqa che si è consumata in epoca post De Paoli. Anzi, appena una settimana  dopo il pubblico processo al consigliere leghista, con sentenza di non luogo a procedere. E a qualche giorno di distanza dalla presentazione di una richiesta da parte del Pd e di Rete a sinistra
affinche’ il presidente dell’assemblea, anche lui esponente del “Carroccio”, e tutto l’ufficio di presidenza stigmatizzino le frasi di De Paoli. Purtroppo però, i due eventi sono concatenati e la dicono lunga sullo stato nervoso dell’opposizione a cui gli esponenti leghisti, con metodo, stanno cercando di far saltare i nervi. Provocandoli, non a caso, su due degli argomenti in cui la sinistra si sente, a torto o a ragione, unico e imprescindibile punto di riferimento, cioè le unioni civili, con annessa la questione dei diritti dei gay, e l’emancipazione femminile. Il travisamento di Stefania Pucciarelli, consigliere regionale e segretario provinciale della Lega Nord spezzina, non rappresenta altro che il secondo capitolo di questa strategia di logoramento. In una specie di gioco delle parti in cui compaiono protagonisti consapevoli e comparse inconsapevoli nel ruolo dei “loassi” sempre pronti a spalancare la bocca e a darle fiato. In una scenografia architettata con cura. Prima di tutto la data, una ricorrenza trasversale in cui ognuno, se lo può, cerca di esprimere le sue idee ed è lecito che mostri la sua libertà di coscienza. Perciò va benissimo la festa della donna. Poi il modo, un simbolo rifiutato ma ancora ambiguo, dietro cui si cela la libertà di scegliere la propria religione ma anche la rigidità di una civiltà ancora barbaramente maschilista se non addirittura schiavizzante. Perciò’ il burqa, come il velo dietro a cui celano il proprio volto le foreign fighter che hanno raggiunto la Siria per unirsi all’Isis. Così’ la Pucciarelli si è presentata nell’aula del consiglio regionale indossando il burqa ad evocare implicitamente tutto questo vorticare di significati. Un tempo i filosofi marxisti insegnavano che occorreva agire sulle contraddizioni della borghesia a scopo rivoluzionario e i leghisti, consciamente o meno, stanno esercitando appunto questa strategia. A questo punto la Pucciarelli, travisata, e con tacco 12, ha fatto il suo ingresso nella sala del consiglio regionale tradizionalmente infiocchettata , per l’occasione, con la mimosa d’ordinanza per la seduta settimanale. Ed è’ stato come se si trattasse del diavolo di fronte all’acquasantiera. È’ scoppiato il finimondo.
Qualcuno potrà argomentare che si è trattato di un gesto isolato e non concertato, tanto è vero che il presidente e compagno di partito Bruzzone l’ha rispedita a cambiarsi dandogli comunque modo di argomentare il suo riferimento alle donne invisibili. Un comportamento apparso non in linea con l’irrascibile compagno di partito. Ma così nessuno potrà  mai sostenere che Bruzzone  non ha rappresentato impeccabilmente il suo ruolo istituzionale, anche perché, nel recente passato, aveva sollecitato in merito le critiche dell’opposizione per una certa rilassatezza negli accertamenti sul caso De Paoli-Agedo.
Fin qui i protagonisti che lasciano il palco alle comparse “loassi”. E scoppia il finimondo perché la Pucciarelli  respinta da Bruzzone una volta all’esterno dell’aula consiliare ha la possibilità di rincarare la dose parlando della vessazione e delle prevaricazioni maschiliste, infibulazione compresa, della cultura islamica e accusando la sinistra di non denunciarle per raccattare consensi. Poi, come da manuale, calca la mano sulle ulteriori contraddizioni della sinistra che, magari a parole e in linea generale, si dimostra d’accordo, salvo poi non fare niente nei casi specifici.
Ed è a questo punto che si consuma la rappresentazione. Perché un celebre commediografo non avrebbe saputo fare di meglio e nella giornata della festa della donna e’ proprio una donna che si scaglia contro una sua simile.
Una a caso? Il capogruppo del Pd Raffaella Paita, conterranea della Pucciarelli. E la Sora Lella inizia in surplace per andarci giù sempre più duro, parla di esibizione da avanspettacolo, di imbarbarimento istituzionale, di scelta di pessimo gusto nella giornata del festa della donna. E finisce per rivangare “Abbiamo ancora nelle orecchie le frasi choc pronunciate da De Paoli alcune settimane fa sugli omosessuali”. Poi affonda “Un amministratore e una amministratrice dovrebbero sempre mantenere un profilo istituzionale. Ma capisco che quando manca il rispetto degli altri anche un gesto così semplice possa apparire difficile da mettere in atto”. Ecco fatto: i nervi scoperti della Paita hanno avuto il sopravvento e la frittata, in piena celebrazione, e nella giornata della festa della donna, e’ fatta. La notizia vola via internet e il consiglio regionale ligure guadagna, per la seconda volta, spazio sulle pagine di giornali nazionali. Il mondo social si divide, a seconda delle ideologie di riferimento, tra chi stronca la provocazione leghista e chi invece riflette amaramente sulle contraddizioni di chi parla di rivendicazioni femministe, di chi si batte contro il femminicidio e poi, magari fa finta di ignorare la violenza di un burqa, dei matrimoni concordati e dell’infibulazione. Temi all’ordine del giorno che confinano con le stragi dell’Isis e con l’instabilità del medio  oriente dopo la primavera araba. E paradossalmente sono gli esponenti di un partito che ha predicato l’internazionalismo a fare le barricate fra le quattro mura di casa, quasi come se le donne europee, violentate o molestate da un branco di uomini medio orientali la notte di capodanno a Colonia, fossero le protagoniste di un incubo o addirittura non fossero mai esistite. Come se la violenza sulle donne fosse una cosa plausibile solo quando si sovrappone perfettamente ad una strategia di breve periodo e il resto potesse essere semplicemente eluso e marchiato dietro al paravento del politically scorrect. E l’ignominia delle ignominie e’ che una donna, in nome dei propri opportunistici coinvolgimenti ideologici, dimentichi e seppellisca quello che per anni ha rappresentato la vera forza dei movimenti femministi: la solidarietà.
Eppero’ a ben guardare questo sembra, almeno in questi anni e in questi giorni uno degli atavici vizi della sinistra. Cito a memoria un altro esempio che non riguarda soltanto il gentil sesso ma tutto il movimento. Parlo della mozione presentata da Stefano Balleari, vice presidente del consiglio comunale e esponente di Fratelli d’Italia, e accolta dal sindaco Marco Doria, perché Genova diventi la città dell’inno. Doria dopo averla rivisitata ha proposto che sia inserita nello Statuto del consiglio. Ci si sarebbe attesi che con l’unanimita’ il consiglio esprimesse l’orgoglio e la consapevolezza di essere, oltreche’ italiani, genovesi. Invece nonostante il voto favorevole del centro destra e del  Pd i due rappresentanti della federazione della sinistra Antonio Bruno e Giampiero Pastorino hanno votato contro, sottilizzando e decontestualizzando sul merito del nostro inno definito troppo risorgimentale, violento e anacronistico, quasi al pari della Marsigliese. Appena peggio di loro i neo rappresentanti del nuovo gruppo “percorso comune” Gianni Vassallo, Salvatore Caratozzolo e Paolo Gozzi che, già ad inizio seduta, avevano annunciato che si sarebbero astenuti dalla votazioni per una questione pregiudiziale e, aggiungiamo noi, di mera bottega. A palazzo Tursi non sono ancora stati individuati i loro uffici dove ricevere il pubblico.
Ma così è la politica. Purtroppo. Comunque siccome crediamo ancora nel buon senso e nella collaborazione che travalicano, o almeno dovrebbero, le ideologie, vogliamo spenderci in un auspicio. Che Stefano Balleari e il ministro della difesa, la genovese Roberta Pinotti, avviino una collaborazione per far inserire il canto degli italiani, e Genova come città natale nell’articolo 12 della nostra carta costituzionale, al pari della lingua e del tricolore. Superando, una volta tanto, sbarramenti e barricate ideologiche.
Il Max Turbatore

Related posts