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Il vizietto tutto italico del “tengo famiglia”

L’elmetto il nostro ministro alla difesa Roberta Pinotti se l’era messo in testa già parecchi anni prima della conquista del dicastero con il governo Renzi. Era stato in occasione della nomina a direttore sanitario dell’ospedale San Martino di Gianni Orengo,  55 anni, marito dell’allora già potente lady Pd. Un giornalista nel titolo dell’articolo lo aveva etichettato come il signor Pinotti, forse per indicare la  presunta provenienza delle pressioni per le sue fresche mansioni. E in quell’occasione la Pinotti, fino ad allora conosciuta ai più come la pasionaria “coscialunga” , in virtù delle già allora frequenti apparizioni  sul grande schermo fra gli ospiti del salotto buono di Bruno Vespa, aveva mostrato i muscoli e smaltito la rabbia negando per mesi l’intervista al giornalista che aveva osato suggerire qualche cattivo pensiero. Fra l’altro, a qualche anno di distanza, Gianni Orengo aveva lasciato la direzione sanitaria, pur senza abbandonare l’ospedale sommerso dagli inguaribili problemi della sanità del maggiore presidio sanitario ligure e, non ultimo, logorato da un rapporto burrascoso con il direttore generale Mauro Barabino.
Eppure ancora poco tempo fa Susanna Turco, in un articolo sull’ Unità’  dal titolo “professione mariti” si permetteva, sottolineando il ruolo di subalternità, di chiamarlo il “signor difesa” pur attribuendogli un curriculum da prima linea ” Da tre anni, medico e dirigente sanitario a Genova, fa i conti con il pendolarismo romano della moglie”. Ma,a volo d’uccello, sul tema tanto caro agli italiani del “tengo famiglia”esistono altri casi anche se meno eclatanti se rapportati all’entità delle cariche istituzionali. Come quello della figlia del fu vicepresidente della giunta regionale Nicolò Scialfa, Roberta, assunta prima dello scandalo di rimborsopoli in cui rimase invischiato il papà, come dipendente della segreteria dell’Idv provinciale, il partito in cui militava il genitore. La ragazza era appena stata licenziata da una ditta di trasporti in cui lavorava come centralinista dove pare fosse approdata grazie alla raccomandazione di Giovanni Paladini, parlamentare e marito dell’ex vicepresidente della giunta Burlando, e potente referente sul nostro territorio di Antonio Di Pietro. Fu nuovamente licenziata alla chiusura degli uffici, dopo il pesante ridimensionamento elettorale del partito.  E al confronto, sempre per rimanere in tema, ma ad anni luce di distanza, fa tenerezza pensare all’elezione in consiglio di circoscrizione centro Est, di Angela Agostini (Fi), moglie del potente sottosegretario alle regioni del governo Berlusconi Alberto Gagliardi che, a rigor di logica, in quanto tale, avrà potuto contare, oltre alle preferenze attribuitegli per la sua professionalità come nota commercialista, anche del pacchetto di voti provenienti dagli accoliti del congiunto.
Sino ai giorni nostri con la vicenda dell’assunzione del cognato dell’assessore regionale Edoardo Rixi , Andrea Carratù, grazie a una consulenza retribuita con la miseria di novemila euro lordi all’anno. Con contratto che risale all’8 gennaio ma balzato agli onori delle cronache nei giorni scorsi, quando il gruppo Pd ha sollevato la questione di opportunità invocando addirittura l’intervento dell’Autotita’ nazionale anticorruzione. E fa sorridere che il Pd abbia dato tanta enfasi a questa vicenda quando aveva la possibilità di azzoppare lo stesso assessore facendo ricorso al suo rinvio a giudizio per l’imputazione nel caso “Rimborsopoli”. Tanto più che le spese attribuite all’esponente leghista erano superiori alla cifra prevista dal contratto con Andrea Carratu’. Ma c’è una spiegazione anche in questo caso nella volontà di non riaprire una vicenda in cui sono rimasti coinvolti la maggior parte dei gruppi del consiglio regionale.
Senonché Rixi,  che in caso di sentenza di colpevolezza rischia il posto per la Severino, colpito negli affetti ha deciso di dar battaglia rispondendo per le rime.
E lo ha fatto ricordando tutti i recenti trascorsi e gli affari di famiglia perpetrati a negli anni in seno al Pd. <Non possiamo ascoltare rampogne da un gruppo consiliare capitanato dalla capofamiglia Paita e a ruota da un ex segretario regionale Lunardon che hanno fatto delle rispettive famiglie il serbatoio per ricoprire le più remunerate cariche  della città di Genova con esiti manageriali per altro disastrosi. Quando la combriccola Paita-Lunardon ha avuto fino a ieri congiunti, mariti e mogli,  che hanno percepito centinaia di migliaia di euro  per portare, nel caso di Armella, la Fiera a bagno e, di Merlo, il porto di Genova alla mercé del governo amico per poi riciclarli come consulente nei ministeri romani>.
E poi la nemmeno troppo velata minaccia “Se dobbiamo scomodare l’anticorruzione saremo i primi a fornire alle autorità competenti montagne di documenti sulle tentacolari ramificazioni della cosa pubblica gestita da anni come cosa vostra privata da parenti ed amici della cricca Paita-Lunardon”. Infine un messaggio all’ex presidente della giunta regionale Claudio Burlando, secondo Rixi il vero e proprio dominus. “E chiarisca come l’ex protettore della compagnia Burlando abbia giocato ai tre bussolotti con i soldi dei liguri producendo alchimie contabili come quello degli immobili di Arte”. Un argomento che sollevato da Rixi in qualità di assessore allo sviluppo economico suona tanto come un avvertimento. Il Pd da parte sua ha minimizzato restituendo al mittente quel la crisi di nervi evocata dall’esponente del Carroccio dopo la vicenda della dichiarazione omofoba del consigliere leghista Giovanni De Paoli e rintuzzando le accuse con i buoni risultati conseguiti da Merlo a capo dell’Autorità portuale
È’ appena il caso di ricordare che Andrea  Carratù ha prontamente rassegnato le dimissioni preferendo ritirarsi per non danneggiare il cognato e la Lega e che il presidente della giunta Giovanni Toti ha invitato il collaboratore del suo vice a ripensarci. Nel teatrino della politica locale, più intenta a contrapporsi sulle vicende giudiziarie che sui casi concreti, purtroppo, nulla di nuovo.
Max Turbatore

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