Libri 

“La classe non è acqua” l’epopea della classe operaia raccontata da Pastorino

Sono una bella sorpresa i “cinque monologhi operai” raccolti in “La classe non è acqua” (De Ferrari) di Bruno Pastorino, conosciuto a Genova per la sua attività politica nella sinistra locale, come si dice, di lotta e di governo.

Un esordio brillante con una produzione non facile, proponendo dei testi “teatrali” nella forma di monologhi/racconti brevi ma che colgono in pieno il risultato a cui probabilmente volevano arrivare. “La classe non è acqua” senza tanti discorsi ci riporta, esperienza piuttosto rara ormai, alle pulsioni e ai desideri veri e propri di emancipazione di quella che sarebbe stata la classe operaia, un istante prima di diventarlo. Nelle parole essenziali ma cariche di forza dei cinque protagonisti dei monologhi Pastorino fa riemergere con insolita naturalezza le aspettative, i sogni, i drammi e gli incubi di una generazione che nell’ingresso in fabbrica, nell’emancipazione del lavoro a cottimo aveva visto il proprio riscatto e l’appropriazione della propria identità.

Fotografie rigorosamente in bianco e nero scattate però, paradossalmente, soltanto una quarantina di anni fa che oggi però paiono millenni. E’ piuttosto raro adesso anche sentendolo raccontare dai testimoni di allora capire cosa volesse dire entrare in fabbrica, lottare per i propri diritti, emanciparsi grazie a una sistema di idee e di principi che nel frattempo sono finiti velocemente in soffitta. I personaggi di Pastorino riportano a galla quanto forse sappiamo ancora ma per ragioni diverse e non solo il tempo trascorso si sono dimenticate.

In mezzo, in tutto questo tempo, un’epoca che si è impegnata al massimo a diluire, isolare, rettificare un senso preciso, quello dell’esperienza e del drammatico rapporto con la realtà che impone leggi durissime e mortificanti “Il vagone si muove. Giacomo sta davanti al vagone. Giacomo non lo vede il vagone che si muove. Giacomo non si accorge che abbiamo spostato il vagone. Giacomo è finito sotto il vagone.” se oltre a quello non ci fosse la forza quasi innaturale di un’emancipazione desiderata e scoperta dentro i gesti precisi e semplici di chi ha già capito. Perché non è solo la natura a opprimere l’uomo ma anche chi per una metafisica e diabolica investitura ricopre il ruolo del “capo” pronto a sfruttare l’ignoranza, una pedissequa abitudine a obbedire per raggirare, confondere, negare sottilmente convincerti a abiurare anche le più legittime aspirazioni: sposarsi, avere una case e dei figli, una vita dignitosa. “Quello non t’ha fatto un favore. Quello se l’è fatto lui il favore. Lui t’ha messo al tornio perché lo sai fare e non hai la qualifica. Altro che non dirlo al padrone. Il padrone lo sa già e ci risparmia. E il capo ci avrà guadagnato anche un premio, per questo. Per mettere al tornio te che non tieni la qualifica”. Nei monologhi/racconti di Pastorino c’è anche un quadro dipinto con minuzia della vita quotidiana dei nostri ’60 e ’70, i vecchi circoli con il biliardino, quattro anziani a giocare a scopone con un bicchiere di vino sul tavolo, i giocatori di biliardo che bevono l’aperitivo da “signori” con il “Gancia”, le automobili, trabiccoli essenziali che fanno la differenza, la damigiana di vino e il pomodoro, quello buono, portato dagli immigrati di allora che venivano dal sud Italia. Non manca l’altra metà del cielo i dei rozzi e geniali Prometeo di questo libro, anelante a sua volta ad una indipendenza che non è solo economica ma è emancipazione da una società ben descritta in sole due frasi: “Io ci sono due cose che non ho mai accettato in un uomo. Uno che alzi le mani. Guai a lui se si permettesse di alzare le mani. Due che io gli debba chiedere dei soldi.”

Pastorino riporta nei suoi monologhi l’essenzialità dei rapporti umani e il tentativo per quella gente vissuta una cinquantina d’anni fa di risolverli partendo dalla parità dei diritti di ogni essere umano e dal desiderio di una vita affrancata dalle subdole regole di una società dominata da un bisogno famelico di oppressione e di sottomissione. Per loro funzionò, in parte, ma da troppo tempo si sente spesso dire, che fu una faccenda tutta sbagliata.

Una bella lettura che magari, non sia mai detto, faccia rivenire la voglia di provarci un’altra volta.     

Related posts